Donne Penalizzate dal Sistema Sanitario

Donne Penalizzate dal Sistema Sanitario

Ci sono ancora molti ritardi nel superare le differenze di genere nella gestione della salute dei cittadini.


C’è una consapevolezza teorica di questa urgenza, ma uomini e donne comprese quelle persone che non si riconoscono in questa classificazione, continuano nei fatti ad essere percepiti come un insieme unico e indifferenziato dal mondo sanitario. Nell’assistenza di base, nelle cure specialistiche, nella ricerca di base e in quella per nuovi farmaci. Esistono profonde differenze fisiologiche, ormonali, di peso, di composizione corporea e metaboliche fra uomini e donne. Sono diversità tali che sarebbe indispensabile praticare una medicina di genere attenta alle loro differenze con il genere maschile che dovrebbe essere praticata a tutti i livelli dell’offerta sanitaria pubblica e privata. Purtroppo l’offerta medica del servizio sanitario con la quale le donne si devono misurare quotidianamente ci racconta che siamo di fronte ad una realtà diversa. L’Italia è stato il primo tra i paesi europei a disciplinare questa materia con una legge del 2018 ma è ancora attesa la sua integrale applicazione.

Sarà ancora lunga la strada che la medicina di base e specialistica dovranno percorrere per arrivare al riconoscimento delle differenze di genere al fine di offrire soluzioni adeguate alle singole individualità, donna o uomo, con l’obbiettivo di arrivare ad una personalizzazione delle terapie. Anche le cellule usate negli esperimenti di laboratorio a modo loro possono esprimere differenze legate al sesso dell’organismo da cui derivano. Paola Matarrese dell’Istituto Superiore della Sanità in una ricerca pubblicata in una rivista internazionale ricorda che le cellule maschili rispondono allo stress metabolico andando incontro alla morte programmata mentre quelle femminili attivano meccanismi di sopravvivenza e sono più resilienti alla morte cellulare.

Ma è a livello degli studi clinici di base che è iniziato questo lungo processo di travisamento del genere. Storicamente le cavie utilizzate erano quasi tutte maschi perché si riteneva che il ciclo mestruale delle femmine rendesse i risultati degli studi più variabili e quindi meno significativi. Ma si è rivelato un inutile pregiudizio. “Una ricerca realizzata su ottomila cavie maschi e femmine di differenti ceppi genetici di topi da laboratorio ha messo in evidenza che la ‘cosiddetta’ variabilità delle cavie femmine non era in nulla diversa da quella dei maschi, un risultato che ha finalmente eliminato dopo molti anni il pregiudizio di genere nell’uso delle cavie nei laboratori” è il commento di Brian Prendergast dell’Università di Chicago in Illinois.

È una pratica che purtroppo è stata traghettata nelle sperimentazioni cliniche di base e specialistiche dove le donne sono sempre sottorappresentate e raggiungono nel migliore dei casi il 40% del campione totale dei partecipanti alla ricerca. Le motivazioni addotte per questo macroscopico errore di metodo sono le solite che riguardano la variabilità fisiologica delle donne a causa del loro ciclo mensile e del loro particolare profilo ormonale. Più maliziosamente ci sono ricercatori che osservano come l’assenza di un corretto e bilanciato arruolamento di donne e uomini tipica di molti studi clinici ne semplifica la loro gestione con una riduzione del costo. Con l’ovvio contrappasso che i loro risultati saranno di qualità inferiore…

Uno studio del 2024 della società di ricerche statunitense McKinsey & Company ci ricorda che le più importanti condizioni fisiologiche femminili che ne condizionano la salute, la vita di relazione e quella lavorativa sono pesantemente sottovalutate dalle statistiche internazionali sulla loro salute. Un riscontro grave per gli effetti importanti che questa mancanza di informazioni ha sulla salute e di riflesso sulla loro vita individuale e sociale. La menopausa con il suo carico di problemi ormonali e metabolici, l’endometriosi una patologia nascosta a volte molto invalidante che interessa almeno il 10% delle donne, la dismenorrea che nelle forme gravi può compromettere la loro vita lavorativa o il curriculum di studio e i problemi di infertilità in forte aumento nei paesi più sviluppati. Questioni che comportano una riduzione del loro diritto alla salute per come sono gestite dalla ricerca medica e dalla comune pratica clinica nelle strutture sanitarie.

Ridotta presenza delle donne negli studi clinici, sottovalutazione della loro fisiologia producono risultati deludenti e allo stesso tempo hanno compromesso la ricerca farmacologica e la stessa validità di alcuni dei farmaci attualmente in commercio. “A causa di un insufficiente arruolamento di donne negli studi per i nuovi farmaci, le dosi consigliate di assunzione vengono definite principalmente sul peso dei partecipanti maschi” è il commento di Giuseppe Nocentini Professore di Farmacologia all’Università di Perugia “Durante le sperimentazioni cliniche raramente si tiene conto delle differenze derivanti dalla complessità della vita riproduttiva della donna, del ciclo mensile e della menopausa. Tutto ciò produce inevitabilmente uno squilibrio di genere nelle formulazioni dei farmaci e delle norme d’uso. Alcuni antidepressivi, anestetici, diuretici, antidiabetici attualmente in commercio in Italia, ognuno a modo loro, sono condizionati da un marcato deficit di genere.”

La farmacocinetica studia il comportamento dei farmaci nel corpo umano una volta che sono stati assunti. Una ricerca di Irving Zucker della University of California a Berkeley su questo tema ha dato risultati sorprendenti. La frequente carenza di informazioni divise secondo il genere inserite nelle confezioni dei farmaci sulle dosi di assunzione è all’origine di molti problemi. Nelle donne la stessa dose di farmaco assunta dagli uomini produce una maggiore concentrazione del principio attivo nel sangue e un tempo più lungo di smaltimento. Effetti prodotti dal minore peso medio del loro corpo, di una più alta percentuale di grasso dell’ordine del 10%, da un differente sistema enzimatico e da altri numerosi fattori come marcate differenze renali, della diversa funzionalità dell’apparato digerente, della quantità media di acqua nel corpo.

Sempre secondo Zucker le donne in generale vanno incontro ad un rischio farmacologico doppio rispetto agli uomini un effetto che è stato riscontrato sugli oltre trecento farmaci più comuni utilizzati negli Stati Uniti. Le donne sono spesso soggette a reazioni negative dopo la loro assunzione che si manifestano con effetti secondari come nausea, mal di testa, depressione, anomalie cardiache, attacchi di panico. È evidente l’urgenza di un cambio di passo in questa materia. Nocentini ricorda che nel programma europeo Horizon Europe è previsto l’obbiettivo di lungo periodo della Gender Equality declinata su ogni aspetto della vita quotidiana compresa la Gender Pharmacology.