24 Giu Gambe Bioniche Simili alle Naturali
Un interfaccia computerizzato trasferisce i segnali del cervello all’arto artificiale che è così in grado di muoversi in modo coordinato ed equilibrato nell’ambiente.
Queste protesi possono muoversi agevolmente nei tradizionali percorsi urbani e in quelli accidentati, salire le scale e affrontare terreni in pendenza con grande facilità e naturalezza. Sono le performances di una gamba bionica evoluta nella quale i centri motori del cervello sono connessi all’arto artificiale una soluzione che permette al soggetto di camminare nell’ambiente con naturalezza ed equilibrio. Una soluzione ideata, progettata e realizzata da un team multidisciplinare guidato da Hugh Herr del Yang Center for Bionics del Massachusetts Institute of Technology che ha avuto entrambe le gambe amputate sotto il ginocchio dopo essere stato sorpreso da una bufera di neve durante una scalata su una parete di ghiaccio. Una esperienza che lo ha messo a diretto contatto con le molte sfide che bisogna affrontare per progettare un arto bionico che sia in grado di ritornare a muoversi nell’ambiente in modo il più possibile naturale. Per i risultati che ha ottenuto è stato definito il leader dell’era bionica per il suo lavoro rivoluzionario nel campo emergente della biomeccatronica, una tecnologia che unisce la fisiologia umana all’elettromeccanica.
Per decenni scienziati e tecnologi hanno cercato di costruire gambe artificiali simulassero quanto più possibile la versatilità delle loro controparti biologiche intatte. L‘andatura naturale è caratterizzata da un rigido controllo motorio che viene realizzato attraverso una complessa interazione fra cervello, muscoli, tendini e nervi che rende la sua emulazione di difficile esecuzione dopo l’amputazione dell’arto. Le più sofisticate tecnologie finora disponibili sono in grado di far muovere una gamba artificiale comandata da un algoritmo che simula in modo quanto più possibile realistico i suoi movimenti nell’ambiente. Una soluzione poco flessibile e con molti limiti perché è in grado di riprodurre solo in modo parziale alcuni dei movimenti tipici dell’arto amputato.
Herr e il suo team sono andati decisamente oltre a questo modello di protesi bionica che finora è quella più utilizzata. Hanno affrontato la questione alla radice partendo dalla fisiologia motoria delle gambe. Le tradizionali amputazioni transtibiali, quelle sotto al ginocchio, recidono tutto l’arto compresi i muscoli, i tendini e l’insieme dei nervi che rendono possibile i suoi movimenti nell’ambiente. Herr ha introdotto un modus operandi innovativo chiamato AMI, Agonist-antagonist Myoneural Interface che connette chirurgicamente le coppie di muscoli agonisti e antagonisti del moncone rimasto li collega ai tendini e recupera l’apparato di nervi preesistenti l’amputazione. Questa operazione chirurgica di recupero funzionale ripristina la capacità dell’individuo di essere connesso in ogni momento a livello mentale con l’apparato motorio pre-amputazione e con la nuova protesi con la possibilità di percepirla in tempo reale nello spazio sia durante gli spostamenti nell’ambiente che a riposo. La nuova gamba robotica pienamente controllata dal cervello può così esprimere una gamma di possibili movimenti molto simili a quelli di un arto non amputato.
La protesi è costruita interamente in titanio e silicone e vari componenti elettromeccanici ed è molto simile a quella naturale anche nel peso. Gli elettrodi sono posizionati sulla superficie della pelle. Catturano i segnali elettrici prodotti dai muscoli sopra la parte amputata e li invia ad un minicomputer che li decodifica e consente di muovere la protesi con il pensiero senza le limitazioni insite negli algoritmi.
“Ipotizziamo che l’intervento chirurgico di ripristino funzionale AMI produca una riorganizzazione delle reti cerebrali neuromotorie che si differenzia in modo significativo rispetto all’intervento tradizionale di amputazione” commenta Herr “I nostri risultati forniscono chiari indizi sui marcatori neurologici coinvolti nell’operazione utili per valutare la riorganizzazione della rete neurale che avviene dopo l’intervento chirurgico, nonché di identificare le regioni cerebrali che hanno subito una riconnessione funzionale post-operatoria e i loro possibili correlati cognitivi. Un insieme di elementi che potrebbero essere al centro di futuri studi clinici di neuroriabilitazione per migliorare il controllo della protesi una esperienza che deve essere gestita anche sul piano cerebrale e non solo su quello meramente meccanico operativo.”
Uno studio clinico realizzato dallo stesso team di Herr ha chiarito le differenze di funzionalità che intercorrono fra una protesi artificiale inserita su un arto amputato in modo tradizionale e l’uso della procedura clinica AMI assieme all’arto artificiale progettato dal loro gruppo. I partecipanti con le protesi innovative hanno camminato ad una velocità superiore del 41% rispetto a quelli con quelle tradizionali su un percorso pianeggiante e hanno ottenuto risultati migliori in tutte le altre prove comprendenti l’ascesa di scale, il superamento di terreni in pendenza e la camminata su percorsi intervallati da varie tipologie di ostacoli. I risultati suggeriscono inoltre che potrebbe esserci una riduzione dello stress mentale durante le prestazioni motorie della protesi gestita nella configurazione AMI rispetto a quelle tradizionali, un aspetto da sottolineare e che spesso gioca un ruolo cruciale nell’uso quotidiano delle protesi e in qualche caso ne provoca l’abbandono.
“Il nostro è il primo studio che ha dimostrato la possibilità di replicare il modello naturale della camminata guidata dal cervello della persona interessata che ha il pieno controllo della protesi bionica” ricorda Herr “È una tecnologia che offre una nuova speranza alle persone amputate che vogliono ritornare a camminare in modo naturale e non con le molte limitazioni delle protesi tradizionali. È un progetto che deve ancora essere perfezionato in molti particolari prima che diventi disponibile sul mercato”.