Ridare la Parola a Chi l’ha Perduta

Ridare la Parola a Chi l’ha Perduta

Un interfaccia fra cervello e computer di ultima generazione permette alle persone non parlanti per trauma o malattia di articolare correttamente migliaia di parole.


La tecnologia è riuscita a dare la parola a chi non ha più le capacità fisiche di emettere suoni ma è ancora in grado di pensare parole, frasi, discorsi. Con un sofisticato interfaccia cervello-computer David Michael Brandman della University of California a Davis e i suoi collaboratori sono riusciti a far pronunciare correttamente con l’aiuto di un sintetizzatore vocale centoventicinquemila parole del vocabolario inglese ad un malato di sclerosi laterale amiotrofica non parlante con una accuratezza superiore del 90%. La comunicazione con gli altri è una priorità per questi malati e per quelli con disordini neurologici post traumatici da ictus cerebrale e può diventare parte integrante dei trattamenti clinici indirizzati a migliorare le loro condizioni di vita.

La nascita di nuove parole e frasi del nostro comunicare quotidiano è preceduta dalla loro formulazione mentale che attiva in rapida successione la loro elaborazione e codifica da parte di gruppi specializzati di neuroni situati nella corteccia prefrontale. C’è una dettagliata struttura cerebrale a capo della delicata operazione di costruzione del linguaggio fonema per fonema, vocali e consonanti che vanno a comporre le frasi compiute del parlare quotidiano. Con la qualità raggiunta dagli studi clinici degli aspetti neurologici del linguaggio abbiamo iniziato a comprendere come le parole vengono costruite una ad una a livello del singolo neurone immediatamente dopo che sono state pensate.

L’essenza dello studio realizzato da Brandman e collaboratori è stata la costruzione di un sofisticato apparato tecnologico che ha intercettato l’attività del cervello durante la formulazione del linguaggio. Con particolari elettrodi inseriti nelle zone cerebrali interessate alla parola i ricercatori sono stati in grado di tradurre tutto il chiacchiericcio che avviene dentro il nostro cervello in segnali elettrici che sono stati decodificati da un computer assistito dall’intelligenza artificiale. Un sistema che è riuscito a ricostruire in modo intelleggibile parole e frasi che pochi attimi prima erano state soltanto pensate. Ci sono voluti anni per mettere assieme tutte queste competenze scientifiche molto diverse fra loro e c’è ancora molto lavoro da fare, ma ci stiamo avvicinando al traguardo di ridare la parola a chi l’ha persa.

Con questo studio clinico Brandman e colleghi hanno realizzato un prototipo concettuale di intervento di recupero della parola su un unico paziente per verificarne la fattibilità e la qualità dei risultati. È una tappa di un work in progress verso la costruzione di un sistema più agile e portabile di quello ‘pesante’ utilizzato nello studio. Al paziente sono state inserite nelle aree della parola del suo cervello 256 mini elettrodi sensibili alle attività neurali. Le tecniche del machine learning sono state utilizzate per decodificare nella lingua inglese i segnali elettrici provenienti dal cervello che sono stati decodificati e inviati ad un sintetizzatore vocale il quale ha elaborato frasi e parole. La voce sintetica è stata opportunamente modellata per corrispondere quanto più possibile a quella del paziente prima della malattia. Il sistema si è rivelato talmente sensibile che quando il paziente ha formulato parole e frasi nella sua mente non solo ha attivato la sequenza di riconoscimento e decodifica delle parole ma anche alcune zone della corteccia cerebrale motoria che comanda i muscoli della bocca e della mascella con le labbra del paziente che si muovevano in sincrono con le parole e le frasi.

Il training di addestramento per l’uso dell’interfaccia cervello computer è stato breve. La prima fase è stata dedicata al riconoscimento di sole 50 parole per tarare il sistema in tutte le sue parti. Successivamente si è passati al riconoscimento di 125.000 parole che comprendono la grande maggioranza di quelle del vocabolario inglese contemporaneo. Dopo 16 ore cumulative di utilizzo, il sistema cervello computer ha interpretato non correttamente solo il 2,5% delle parole un margine inferiore a quello dell’uso quotidiano dello smartphone che si attesta in media sul 5%. La cadenza massima con la quale il paziente ha comunicato all’esterno è stata di 32 parole al minuto a fronte delle 140/150 di una normale conversazione.

Per ora il sistema cervello computer è complesso ed è possibile utilizzarlo solo in laboratorio perché ha criticità di vario tipo anche di natura sanitaria dovute all’impianto dei micro elettrodi nel cervello. Come prova concettuale ha soddisfatto pienamente i ricercatori e il paziente zero oggetto unico dello studio. “Dopo due anni sono riuscito finalmente a parlare con mia figlia e sono molto contento” è la dichiarazione commossa dello stesso “Posso così approfondire la relazione con lei e con mia moglie dopo un lungo periodo di difficile silenzio e di isolamento mentale”. Il successo è stato tale che utilizza l’interfaccia non solo per comunicare con i familiari, ma anche con i suoi ex-colleghi di lavoro, con gli amici e con i ricercatori. L’uscita dal silenzio, perché di questo si tratta, è stato per lui un evento imprevedibilmente emozionante e coinvolgente. 

La riuscita di questo esperimento pur ancora in una versione concettuale, apre la strada a una disponibilità fra pochi anni di queste interfaccia cervello computer per superare le difficoltà di parola derivanti da varie patologie non solo dalla SLA” afferma Edward Chang, neurochirurgo presso l’University of California a San Francisco, un pioniere nel campo delle neuroprotesi della parola “È un importante passo avanti verso la trasformazione a breve di questi sistemi uomo-macchina in una solida realtà clinica, un obiettivo che sembrava fantascienza solo cinque o dieci anni fa”.