Barriere Coralline a Rischio

Barriere Coralline a Rischio

Il delicato rapporto simbiotico fra un piccolo invertebrato e un’alga fotosintetica che è alla base di questo straordinario ecosistema vivente è in crisi a causa del cambiamento climatico in atto.


La Grande Barriera Corallina nell’Australia nord-orientale é il più esteso organismo vivente del pianeta lungo più di duemilatrecento chilometri e assieme ad altre barriere localizzate tra Asia Meridionale, Africa e Centro America, stanno attraversando una profonda crisi strutturale. Sono ecosistemi molto vasti e complessi, ma fragili e in anni recenti hanno subito un progressivo processo di deterioramento dovuto a cause concorrenti come il cambiamento climatico e gli effetti invasivi delle attività umane. “Occupano solo lo 0,2% del fondale oceanico, ma supportano il 25% delle specie marine e sono responsabili della sicurezza, della protezione delle coste, dell’approvvigionamento di cibo e del benessere economico di centinaia di milioni di persone. Il valore totale dei beni e servizi forniti dalle barriere coralline a livello globale é di 2700 miliardi di dollari annui di cui 36 miliardi in turismo” scrive il report Coral Reef of the World pubblicato nel 2020. Le barriere sono anche luoghi di biodiversità marine uniche nel loro genere che devono essere difese. Una situazione complessa monitorata da alcuni decenni da organismi internazionali che presenta aspetti di preoccupazione per l’insieme dei valori in gioco che vanno oltre gli aspetti economici. C’é stata la crisi del 1998 con una mortalità complessiva di coralli attorno all’8% del totale dell’estensione delle barriere coralline, mentre fortunatamente negli anni successivi la copertura globale si é riassestata a livelli precedenti quella drammatica annata. Purtroppo nel decennio tra il 2008 e il 2019 il fenomeno é ripreso e di nuovo si é verificata una progressiva perdita di coralli stimata in questo caso in almeno il 14% del totale esistente corrispondente in termini quantitativi all’insieme di tutti quelli che fanno parte della Grande Barriera Australiana. Un grande allarme per tutti.

“La relazione simbiotica fra i minuscoli animali dell’ordine delle Scleratinie, i coralli duri e le microalghe fotosintetiche della famiglia delle Symbiodinaceae é stata la base sulla quale é avvenuta la costruzione delle barriere coralline che é durata milioni di anni” dice Virginia M. Weis del Department of Zoology, Oregon State University, Oregon. “Le alghe forniscono ai coralli zuccheri e alcuni amminoacidi che non sono in grado di metabolizzare autonomamente e in cambio ricevono azoto, fosforo, luce e rifugio contro i pesci erbivori che vivono nella barriera”. Lo ‘sbiancamento dei coralli’, il coral bleaching, la parte a noi visibile dello stato di sofferenza delle barriere coralline, é il segno della avvenuta rottura di questo lungo rapporto di coevoluzione fra coralli e il suo ospite, il simbionte fotosintetico, un evento epocale. In molti casi durante lo sbiancamento, il tessuto dei coralli può rimanere intatto anche se é severamente compromesso perché é stato privato del suo nutrimento. A lungo andare senza l’energia fornita dalle alghe, i coralli muoiono per fame e con essi collassa la barriera corallina.

Il fenomeno dello sbiancamento non é il prodotto di una unica causa particolare, ma il risultato di un contemporaneo accumulo di più fattori di stress di natura biotica e abiotica. Di sicuro i più recenti eventi di sbiancamento sono il segno di un anomalo innalzamento delle temperature medie delle acque oceaniche per effetto dei cambiamenti climatici degli ultimi decenni. “Tuttavia i risultati delle ricerche sul campo suggeriscono che vanno considerati un insieme di altri fattori ambientali come concause per lo stesso fenomeno: l’intensità della luce, la concentrazione dei nutrienti, la disponibilità di zooplankton, l’acidificazione delle acque oceaniche” dice Robert van Woesik del Florida Institute of Technology, Melbourne, Florida, USA. “Ad esempio l’intensità della luce si é dimostrata essere un fattore cruciale poiché lo sbiancamento é meno intenso quando é ridotta per effetto della torbidità delle acque o della profondità delle stesse. Mentre una alta concentrazione di nutrienti in alcune zone oceaniche, irrobustisce i tessuti dei coralli aumentando la loro resilienza agli stress termici”.

Ma é in atto un’altra minaccia sostanziale per i coralli: il cambiamento della loro modalità riproduttiva, la chiave della loro sopravvivenza. La maggior parte di loro sono ermafroditi e si riproducono una volta all’anno attraverso la contemporanea diffusione in acque libere sia dei gameti femminili che maschili. In genere é un evento che si verifica nei mesi più caldi dell’anno ed é molto intenso come quantità totali di gameti prodotti perché la fecondazione é affidata ad eventi casuali e le perdite sono elevate. “I cambiamenti climatici non solo hanno profondamente alterato questo modello riproduttivo, ma ne hanno ridotto il suo successo con la diminuzione della quantità dei nuovi nati che si é verificata nel corso del tempo, un problema cruciale per tutti gli animali” dice Tom Shlesinger del Florida Institute of Technology, Melbourne, Florida, USA a conclusione di una ricerca realizzata nel Golfo di Eilat nel Mar Rosso. “Le cause potrebbero anche essere ricercate in altre direzioni come l’influenza negativa che hanno le temperature dell’acqua sulla gametogenesi oppure sull’aumento nelle acque delle barriere, di composti chimici inquinanti che influenzano la produzione di steroidi come il progesterone, il testosterone e l’estradiolo, tutti ugualmente importanti e necessari nel modello riproduttivo dei coralli”.

I pesci che vivono nella barriera corallina sono un tassello imprescindibile della biodiversità degli oceani e allo stesso tempo forniscono proteine e nutrienti per l’alimentazione di milioni di consumatori. Giovanni Strona della Faculty of Biological and Environmental Sciences, University of Helsinki, Finland ha realizzato una lunga ricerca sul campo sui questi pesci di barriera. Ne ha mappato  6964 specie diverse assieme a 119 generi di coralli ed ha sviluppato alcuni possibili scenari futuri rispetto ai cambiamenti ambientali in atto. Ebbene “Una ipotetica eliminazione dei coralli potrebbe avere un impatto diretto ed indiretto sulla diversità e quantità dei pesci di barriera secondo i risultati empirici di alcune ricerche realizzate. Dal punto di vista degli scenari che abbiamo sviluppato, questa ipotesi potrebbe portare ad una riduzione del 50% del numero totale di specie e del 30% della loro diversità genetica” commenta Strona. “Paradossalmente questi risultati mettono in evidenza quanto l’ambiente tipico di una barriera corallina garantisca a tutte le specie di pesci che ospita benefici in termini ecologici diretti e indiretti che vanno oltre le nostre attuali conoscenze empiriche e così accade anche per molti altri organismi di barriera che fanno parte di questo ecosistema dalle caratteristiche uniche”.

La perdita quantitativa di coralli avvenuta con i più recenti eventi di sbiancamento non é stata uniforme a livello globale. “C’é una crescente consapevolezza da parte dei ricercatori che alcune barriere coralline mostrano comportamenti diversi verso eventi ambientali simili come le ondate di calore. Sono dati da cui partire che possono essere replicati in altre barriere coralline, quelle più sensibili a questi fenomeni” dice van Woesik. “Perché dietro a questi eventi ci sono particolari ceppi di coralli con profili genetici più adatti nel rispondere a questi stimoli ambientali”. Rimane da risolvere il problema della identificazione di quali sono le varietà di coralli che sono in grado di resistere agli stress termici in ambienti dalla limitata accessibilità. Crawford Drury del Center for Global Discovery and Science, Arizona State University, Tempe, Arizona ha utilizzato le immagini spettroscopiche ad alta fedeltà ricavate dal sorvolo aereo delle barriere coralline delle Hawai nei periodi dell’anno di maggiori stress termici. “Questi strumenti di identificazione in remoto delle caratteristiche delle barriere coralline sono cruciali per lo sviluppo di nuovi approcci per la loro gestione e conservazione” racconta Drury. “Abbiamo dimostrato che queste immagini sono in grado di mappare importanti caratteristiche strutturali della barriera corallina, delle specie di coralli e della loro tolleranza alle variazioni di temperatura, un modello di lavoro che può essere esportato per l’analisi di altre barriere coralline”.

E’ moderatamente ottimista van Woesik “Il cambiamento climatico è in atto e il futuro delle barriere coralline appare cupo. Ciononostante sappiamo che alcuni ceppi di coralli sono resilienti al fenomeno ed é imperativo saper quali e quanti sono e la loro localizzazione per esportare il loro potenziale adattativo ad altre situazioni di pericolo. Interventi da realizzare in parallelo a quelli per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Un programma praticabile nell’arco di un decennio a condizione che vengano coordinati gli sforzi di tutti gli enti pubblici e privati interessati”.