Cibi Ultraprocessati

Cibi Ultraprocessati

Sono prodotti industrializzati che incontrano un crescente gradimento da parte dei consumatori.


Negli Stati Uniti contribuiscono al 58% del totale di chilocalorie assunte quotidianamente, per il 57% in Gran Bretagna, il 48% in Canada, il 30% in Belgio e per il 23% in Messico. E un sistema di classificazione dei cibi introdotta da Carlos Monteiro del Department of Nutrition, School of Public Health, University of São Paulo, Brazil. Sono prodotti industriali realizzati con miscele di materie prime diverse con l’aggiunta di additivi alimentari, trattati termicamente e con tecnologie antimicrobiche. Sono snack di natura varia, dolci e cereali per la prima colazione, derivati della carne, preparazioni alimentari di verdure o miste con carne, piatti pronti.

Questa classificazione di Monteiro dei cibi disponibili per la nostra alimentazione ne prevede altre tre. La prima comprende la frutta, il latte, la carne, le uova cibi che generalmente vengono consumati tali e quali o con lavorazioni light. Nel secondo gruppo ci sono gli ingredienti utilizzati per la preparazione dei cibi: olio, burro, zucchero, sale, spezie di varie provenienze. Nel terzo sono stati collocati i cibi processati che per la preparazione utilizzano esclusivamente quelli delle prime due categorie.

Come tutte le classificazioni anche questa conosciuta con il nome di NOVA, presenta evidenti limiti. Le categorie spesso si sovrappongono perché la loro definizione soffre di molte ambiguità. Il quarto raggruppamento contiene in pratica molti alimenti di origine industriale con merceologie diverse fra loro: cereali per la prima colazione, piatti pronti, bevande zuccherate. “L’aspetto più deteriore di questa classificazione è che la composizione nutrizionale degli alimenti è un semplice accessorio poiché il loro contenuto in grassi, carboidrati, proteine non ha alcuna rilevanza.” ricorda Andrea Poli presidente della Nutrition Fundation of Italy “E’ uno schema che ingenera confusione tra i consumatori ma anche sui ricercatori che vogliano analizzare le loro caratteristiche nutrizionali.”

Al di là della mancanza di chiarezza, questa classificazione ha contribuito a mettere in luce i problemi connessi con la industrializzazione dei cibi. Tanti sono gli studi clinici realizzati sui cibi ultraprocessati con risultati in genere molto critici sulle loro qualità nutrizionali. “Sebbene le linee guida per la prevenzione delle malattie cardiovascolari di molti paesi occidentali ricordino di ridurre il consumo dei cibi ultraprocessati a favore del consumo di frutta e verdura, nessuna di loro suggerisce esplicitamente di assumerne il meno possibile” ricorda Marialaura Bonaccio del Department of Epidemiology and Prevention, IRCCS NEUROMED, Pozzilli, Isernia prima firmataria di una ricerca sul tema “I nostri risultati indicano con chiarezza che la eccessiva assunzione di questi cibi può diventare un preoccupante problema di salute pubblica nel campo della prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari e suggerisce la necessità di limitarne l’uso”.

Tre studi di lunga durata coordinati dal Department of Nutrition, Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston, hanno messo in luce in alcune tipologie di cibi ultraprocessati risultati che riducono il rischio per il diabete mellito. Sono quelli contenenti elevate percentuali di cereali integrali, di frutta oppure a base di yogurt e/o di derivati del latte. Sempre gli stessi studi hanno però evidenziato un aumento del rischio sempre per il diabete con gli ultraprocessati a base di farine raffinate, i piatti pronti con composizioni varie a base di carne e con le bevande zuccherate.

Una parte di questi risultati potrebbe essere causata anche da una presenza di micronutrienti al di sotto delle quantità consigliate dai nutrizionisti, un aspetto che accomuna molti di questi cibi. Si parla di carenze più o meno accentuate di Vitamina A, B3, B6, B9, B12, C, E, di minerali come il calcio, il magnesio, il potassio e il fosforo. Sono i risultati di due studi clinici realizzati in Australia e altri analoghi realizzati in epoche diverse in Messico, Cile, Canada, Brasile sempre in tema di micronutrienti. Studi clinici con risultati simili realizzati in paesi e in tempi diversi indicano la presenza di dati strutturali connessi con la composizione nutrizionale di questi cibi. Anche la presenza di fibre alimentari è al di sotto delle quantità quotidiane consigliate con le inevitabili ricadute sullo stato di salute del microbiota. Un fenomeno definito ‘fame nascosta’ che paradossalmente  accomuna i consumatori dei paesi sviluppati e non.

Risultati che giustificano le osservazioni critiche di Andrea Poli sulla necessità di valutare la qualità nutrizionale dei cibi sulla loro composizione merceologica e non sulla loro classificazione in astratte categorie di lavorazione. La produzione industriale del cibo copre comunque una parte importante della offerta commerciale di prodotti alimentari, una realtà fatta di luci e ombre.

In tema di sicurezza alimentare l’industrializzazione della produzione ha permesso di realizzare importanti passi in avanti sia nella tecnologia produttiva che nello stoccaggio dei prodotti che si sono adeguate ad una stringente normativa europea e internazionale in materia a salvaguardia della salute umana. Sono stati introdotti rigidi controlli di sicurezza sia nell’industria che nell’agricoltura e riguardano molti aspetti dei cibi a livello produttivo, di packaging, di etichettature e questioni cruciali sul controllo di patogeni come le aflatossine, la listeria, l’Escherichia coli, la salmonella, che hanno ridotto drasticamente il rischio alimentare rispetto ad un recente passato.

Altra questione sono invece le qualità nutritive dei cibi e il loro rapporto con la salute umana. Oltre ogni classificazione introdotta da Monteiro, da anni è in atto una grande trasformazione qualitativa di tutta l’offerta alimentare guidata dai grandi gruppi del settore, i quali possono investire sui tanti aspetti che compongono il pianeta cibo: tecnologie, ricerca scientifica, materie prime, additivi alimentari, nuovi modelli di marketing utilizzando la profilazione dei consumatori. I cibi ultraprocessati sono uno degli effetti di queste innovazioni, ma i loro risultati in termini nutrizionali e di rapporto con la salute umana sono quelli tipici del modello alimentare contemporaneo diffuso nei paesi occidentali.

Un modello in cui i carboidrati sono grossomodo il 50% delle calorie quotidiane assunte, con i raffinati che raggiungono l’80% del totale. Una dieta ad elevato indice glicemico la quale secondo i risultati degli studi studi clinici produce un aumento del fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e per il diabete. Gran parte dei cibi ultraprocessati si colloca all’interno di questo modello oppure potrebbero essere classificati nel comparto dei novel foods, cibi prodotti con nuove materie prime come gli insetti oppure attraverso particolari lavorazioni industriali o processi biologici come la carne coltivata.

Nuovi cibi con molti problemi da affrontare, uno in particolare: la quantità e qualità dei nutrienti che vengono sempre considerati elementi di secondo piano soprattutto quelli micro e le fibre alimentari, ma hanno effetti importanti sul metabolismo umano. Secondo foodb un grande data base sulla composizione dei cibi, la carne bovina ha più di quarantamila componenti singoli, gli asparagi più di quattromila che ne caratterizzano le qualità nutritive. Un dato che dovrebbe indurre a qualche riflessione coloro che progettano i novel foods.