21 Feb Galileo Galilei
Tra la fine del cinquecento e gli inizi del seicento con altri fisici e matematici europei ha gettato le basi concettuali della scienza moderna.
Quasi all’improvviso in quel passaggio di secolo, la cultura umanistica e scientifica che per duemila anni era ruotata attorno alla indiscussa autorità di Aristotele e dei suoi molti discepoli, sarebbe naufragata sotto l’urto di un nuovo approccio al reale incarnato in un gruppo di nuove figure di disincantati pensatori e artigiani europei. Da Parigi a Londra a Ostenda a Pisa a Ratisbona, questa nuova generazione di filosofi-scienziati, guardava in modo nuovo ad alcuni fenomeni della realtà fisica i quali visti con i loro occhi assumevano significati che andavano oltre la tradizione consolidata. Era solo l’inizio di una stagione che in poche decine di anni avrebbe travolto il vecchio mondo.
Durante gli anni della sua formazione a Pisa Galileo ha seguito il corso ordinario di studi che nelle scienze naturali ruotava attorno all’aristotelismo e la fisica dell’impetus insegnata a Parigi dalla scuola fondata da Giovanni Buridano il quale a Pisa aveva un seguace nel fisico filosofo Francesco Bonamici. Con molta probabilità Galileo ha seguito i suoi corsi. Era la fisica del ‘senso comune’ alla quale si dava il merito di avere superato l’autorità di Aristotele in molte questioni di principio. In realtà si trattava di un apparato concettuale che non era in grado di fornire un inquadramento formale attendibile nemmeno ai fenomeni più semplici della realtà fisica in particolare del moto degli oggetti nello spazio, uno dei temi forti del dibattito scientifico e filosofico di quegli anni.
Galileo, come molti in quel tempo, aderì a questo modo di interpretare la realtà, ma fu un breve interludio. Affrontò lo studio della matematica con Ostilio Ricci che dava a questa disciplina una impostazione pratica legata alla meccanica e all’ingegneria, un modello risalente ad Archimede. Un insegnamento che sicuramente ha lasciato una impronta profonda su Galileo. Grazie alla sua prima pubblicazione a stampa, La Bilancetta, ispirata ai lavori di Archimede, ottenne nel 1589 un incarico triennale per l’insegnamento della matematica presso l’Università di Pisa.
Gli anni del suo trasferimento all’università di Padova del 1592 per l’insegnamento di matematica e fisica, fortemente voluto dalla Repubblica di Venezia, segneranno la sua svolta concettuale in termini di approccio al reale, uno dei primi segnali della nuova scienza che lentamente ma con determinazione si stava affermando in tutta Europa con il lavori di Keplero, Descartes, Gilbert e degli artigiani del vetro che avrebbero rivoluzionato la visione dell’universo con i loro cannocchiali. Galileo é l’uomo della transizione. Grazie al suo lavoro, la grande tradizione aristotelica e della fisica dell’impetus vengono decostruite passo dopo passo e ispirandosi a Platone e ad Archimede, costruisce le basi di un nuovo modo di guardare alla realtà. Era consapevole della necessità di cambiare il paradigma corrente e di traghettarlo dalle paradossali astrattezze del senso comune della fisica dell’impetus, alla forza concettuale della geometria e della matematica.
Un passaggio contraddittorio e difficile tra il vecchio e il nuovo mondo, che si é rivelato vincente. Non é stato facile per lui. Lo si sente leggendo i suoi trattati, i Dialoghi e i Discorsi, che con lunghe e minuziose spiegazioni sulla nuova fisica, attutiscono in qualche modo la radicalità della rottura concettuale operata dal loro autore che si nasconde dietro ai suoi numi Archimede e Platone. Solo pochi anni più tardi i suoi allievi Cavalieri e Torricelli, già parlavano e si muovevano in ambito scientifico con grande naturalezza, come scienziati del nuovo mondo e con la consapevolezza della forza interpretativa del nuovo metodo galileiano. La transizione era ormai alle loro spalle. Ma era stata dura.
Galileo in questo passaggio dal vecchio al nuovo, ha dovuto operare alcune scelte di principio radicali. “L’esperienza del reale non favoriva la nuova fisica, che si doveva appellare solo a quello che pareva impossibile. Un procedimento che chiameremo archimedeo o platonico: ricostruzione del reale empirico partendo da un reale ideale” commenta il filosofo della scienza Alexandre Koyrè “Un modo di procedere paradossale e rischioso che accomunerà in quegli anni Descartes e Galileo poiché si trattava della sostituzione radicale della realtà empirica con il mondo geometrico e matematico”. Sappiamo da una sua lettera indirizzata a Paolo Sarpi, che nel 1604 era già entrato in possesso della formula matematica della caduta dei corpi nel campo gravitazionale terrestre. In questa equazione mette in relazione fra loro lo spazio percorso con la accelerazione di gravità e il tempo e la sua enunciazione segna materialmente l’inizio della nuova scienza.
E’ il nuovo modo di operare del Galileo perché quella formula sviluppata in quegli anni, era una idea di realtà, non un risultato sperimentale perché Galileo non disponeva della adeguata tecnologia per verificarne la validità fisica. Era il segno da cui partire per confrontarla con il mondo reale ed é in questo passaggio duramente conquistato, che troviamo il significato profondo della svolta realizzata da Galileo verso il modo nuovo di fare scienza. Non più le ipotesi del “senso comune” della fisica dell’impetus vaghe e improduttive sul piano scientifico, ma il rigore della matematica e della geometria per costruire degli schemi di interpretazione della realtà fisica verificabili sperimentalmente.
Visto con i nostri occhi una questione scontata, perché ora sappiamo che il lavoro scientifico procede per ipotesi e successive verifiche sperimentali fino al risultato finale. Ma lui era il primo e anche se si era mimetizzato dietro l’autorità di Archimede e Platone, il suo poteva essere un salto nel buio. Invece ha aperto la strada ad un nuovo modo di interpretare il reale e a molte altre generazioni di scienziati. Parliamo dell’esperimento mentale di Einstein dell’ascensore che cade nel vuoto che lo ha guidato alla formulazione della relatività generale e della visionaria ipotesi di Bohr del 1913 del suo atomo quantistico, un modello che nella sua formulazione originaria andava oltre ad ogni possibile esperienza sul reale e di tutte le leggi conosciute della fisica di quegli anni.
Galileo era ben consapevole della potenza innovativa di questo cambio di paradigma e lo ha rivendicato a testa alta assieme ai risultati da lui raggiunti.”Abbiamo dato avvio ad una nuovissima scienza intorno ad un soggetto antichissimo come il moto degli oggetti che cadono… alcune sue caratteristiche non sono mai state finora osservate e dimostrate in quale proporzione avvenga la sua accelerazione”. Galileo con orgoglio rivendica a se stesso la sua primogenitura di quella formula e continua: “Nessuno che io sappia ha dimostrato che un mobile in caduta verso la terra percorre in tempi uguali spazi che stanno fra loro come i numeri dispari a partire da uno”.
Il fisico di Pisa ha rotto un velo che durava da secoli anche su altri temi del dibattito scientifico del tempo. La relatività del moto di caduta dei corpi rispetto all’osservatore, il suo rivolgere il cannocchiale verso il cielo affermando la realtà delle cose che vedeva contro un Keplero inizialmente dubbioso (!). E i suoi molti limiti, anche errori, inevitabili in un personaggio della transizione fra epoche diverse. Il suo più grande limite é stato essersi fermato sulla soglia della enunciazione esplicita della legge di inerzia, più volte sottesa a molti suoi ragionamenti sul moto dei corpi nello spazio. A questo avrebbe presto provveduto Descartes che portò a compimento anche il suo progetto di geometrizzare lo spazio. Ma é stato un precursore e per questo lo ricordiamo.