09 Gen Grani Antichi e Moderni
Accompagnano da migliaia di anni la nostra vita quotidiana tra pane, pasta, pizza, snack e dolci.
Il grano é la specie vegetale più coltivata al mondo, più del riso, per la sua maggiore adattabilità climatica e la varietà dei suoi usi. La sua diffusione territoriale va dai 67 gradi nord della Norvegia, Finlandia e Russia ai 45 gradi sud dell’Argentina con Cina e India primi produttori nel 2021. Fornisce circa il 20% di tutte le calorie e proteine consumate dagli esseri umani perché é presente in centinaia di diete tradizionali. E’ senza dubbio il prodotto alimentare di base più diffuso a livello globale, le cui problematiche colturali e commerciali devono essere costantemente monitorate, la guerra in Ucraina insegna.
Il nostro rapporto con il grano é iniziato grossomodo 11.700 anni fa in un territorio situato a cavallo fra l’attuale Iraq e la Turchia con la specie selvatica di Triticum monococcum. Il primo intervento di domesticazione realizzato dai nostri antenati su questa specie é stata la selezione di una spiga che raggiunta la maturazione non disperdesse i semi al suolo, caratteristica tipica delle specie selvatiche. Un processo che é continuato nei millenni successivi con la selezione di altri caratteri specifici in linea con le esigenze degli agricoltori di aumentare la produttività.
Quindi piante con semi più grandi, tolleranza a climi diversi per temperatura, piovosità, qualità agronomica dei terreni dato che i Sapiens del Neolitico si sono rivelati dei formidabili migratori. Poi la data della maturazione secondo il clima di un particolare territorio, il rapporto fra peso della spiga e quello della pianta e la sua altezza fuori terra per evitare fenomeni di allettatura, l’appoggio al suolo delle piante per il vento o l’eccessiva piovosità, infine molto più recentemente l’intervento su alcuni geni specifici della resistenza alle malattie.
Per un lungo periodo storico si é trattato di ibridazioni realizzate in modo empirico sui cultivar disponibili nei territori, poi con il novecento é stata utilizzata la genetica. In Italia l’agronomo Nazareno Strampelli ha dato un contributo determinante all’inizio del secolo, ha continuato Norman Borlaug negli anni ’60 a cui é stato assegnato il premio Nobel per la Pace per il suo fondamentale lavoro sulle cultivar vegetali, non solo di grano, che é stato alla base della ‘rivoluzione verde’, che ha portato all’aumento delle produzioni medie agricole. Un contributo decisivo per la lotta alla fame nel mondo.
“In Italia sono attualmente iscritte presso il Registro Nazionale delle Specie Vegetali circa 400 varietà di grano fra duro e tenero, quasi tutte selezionate negli ultimi quaranta anni, anche se poi quelle più diffuse sono solo poche decine” dice Luigi Cattivelli responsabile del CREA, Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica, Fiorenzuola d’Arda, Piacenza “Nel linguaggio comune e dei media, ‘antichi’ sono tutti quei frumenti selezionati prima degli anni sessanta anche se quelli degli anni tra il 1920 e il 1940 ibridati in Italia in gran parte da Strampelli, avevano già alle loro spalle una concezione moderna dal punto di vista genetico. Sarebbe più opportuno definire i grani antichi varietà storiche come é in uso nei paesi anglosassoni, una definizione che ne riconosce il loro ruolo nella storia alimentare di un paese ed esprime in maniera più accurata il valore culturale che hanno assunto per determinati territori”.
L’attenzione dei media sui grani antichi é indirizzata in particolare verso il farro, il Triticum turanicum più conosciuto con il nome commerciale di Kamut© e il frumento monococco. A vario titolo vengono tutti indicati come di qualità migliore delle varietà di grano industriale che di norma si trovano in commercio. Si parla di un più elevato contenuto proteico, in particolare per il monococco che può arrivare fino al 20% del peso, di una maggiore quantità di fibre alimentari e di micronutrienti, vitamine e minerali in 100 grammi di prodotto. Sono differenze quasi sempre minime, ma vengono giudicate importanti sul piano nutrizionale.
Si é formata in sostanza una diffusa opinione che riconosce una migliore qualità complessiva ai grani storici rispetto a quelli moderni ‘colpevoli’ di essere il risultato di troppi rimaneggiamenti genetici. “Niente di più falso anche perché a loro volta i grani antichi sono il risultato di una lunga sequenza di selezioni genetiche realizzate dai nostri antenati” commenta Cattivelli “Spesso l’antichità vera o presunta di un grano diffusa dai media consente di creare una nicchia di mercato che diventa la base per attribuirgli un prezzo più alto della media di prodotti analoghi”
Viene spesso declamato il presunto sapore intenso tipico dei grani antichi. “La genetica del grano contribuisce relativamente poco al sapore dei prodotti finali. Su questo aspetto prevalgono le tecniche di macinatura che consentono di ottenere una farina, intera o raffinata, con particolari caratteristiche di qualità” dice Bianca Maria Ficco del Research Centre for Cereal and Industrial Crops di Foggia “Nel caso del pane, assieme alla macinatura, assume rilevanza la tecnica di produzione messa in atto per ottenere un risultato di qualità superiore mentre rimangono in secondo piano le farine con le loro differenti proprietà tecnologiche.”
Sono le considerazioni finali dello studio di Ficco sul tema, una secca smentita dell’opinione comune che attribuisce ai grani antichi ipotetiche qualità superiori a quelli contemporanei. Le moderne tecniche industriali di macinatura, sono in grado di intervenire in modo estremamente sofisticato sia sui sapori finali che sulla composizione merceologica delle farine. E’ solo un problema di scelte di marketing e di quali nicchie di mercato si vogliono privilegiare. Siamo oltre la genetica. L’intervento sui sapori e sulla struttura fisica dei cibi é diventato ormai un ‘must’ dell’industria alimentare contemporanea.
L’importanza dei grani antichi é racchiusa nel loro genoma. “Nelle banche del seme sono conservate oltre 500.000 specie domestiche e selvatiche di grano, ma é fuori discussione che possano venire utilizzate in coltivazione perché non hanno la necessaria capacità produttiva e l’adattabilità agli ambienti contemporanei che dimostrano i grani moderni” commenta Cattivelli “Il loro valore risiede nella possibilità che nel loro genoma vengano rintracciati geni antichi utili per i cultivar contemporanei come é successo recentemente. A fine secolo in Uganda, per contrastare la ruggine nera, una delle malattie più devastanti del grano, é stato utilizzato un particolare gene rintracciato nelle varietà selvatiche che é stato in grado di immunizzare le colture dal quel patogeno”.
Sul grano ci sono altre questioni da chiarire perché i suoi contenuti nutritivi non possono essere identificati esclusivamente sulla percentuale di proteine, antico o moderno che sia, mettendo allo stesso tempo in secondo piano tutti gli altri nutrienti altrettanto decisivi per la salute umana.
Anthony Fardet dell’Istituto Nazionale Francese del Cibo e dell’Agricoltura ci ricorda la quantità di contenuti nutritivi che vengono in parte eliminati con la raffinazione dei cereali. L’elenco é quanto meno allarmante: fibre alimentari, ferro, magnesio, zinco, manganese, rame, selenio, fosforo, calcio, sodio, potassio, vitamina B1, riboflavina, acido nicotinico, piridoxina, biotina, folato, betacarotene, tocoferoli, polifenoli, flavonoidi, fitosteroli, acidi grassi omega3, composti dello zolfo, beta glucani. In sostanza fibre, minerali, vitamine, composti bioattivi. Un problema poiché nei paesi occidentali sono maggioritari i consumi di cereali raffinati mentre nell’infanzia e nell’età adulta, con rare eccezioni, quelli degli integrali sono al di sotto dei minimi consigliati dall’USDA. In questa gara al negativo, l’Italia si colloca con decisione all’ultimo posto.
Al capitolo nutrienti va associata la specifica composizione del grano tenero raffinato, il più utilizzato in decine di preparazioni gastronomiche nella forma di farina 00. Per i due terzi del suo peso é composta da amido di cui il 25% è amilosio resistente alla digestione e il rimanente 75% è amilopectina che viene rapidamente assimilata in forma di glucosio dagli enzimi dell’intestino tenue. Dal punto di vista nutritivo la pasta che viene prodotta in gran parte con farine raffinate non può essere definita equilibrata, migliora solo grazie ai sughi utilizzati.
Sono molti i cibi di consumo quotidiano prodotti con le farine raffinate. Hanno un elevato indice glicemico di cui si conoscono gli effetti negativi di lungo periodo sul metabolismo umano perché sono un accertato fattore di rischio cardiovascolare e per il diabete 2. E’ un tema che viene affrontato dalla ricerca internazionale. Jingying Li dell’Institute of Crop Science, Chinese Academy of Agricultural Sciences, Beijing, China utilizzando l’editing Crispr Cas9 su due cultivar di grano tenero molto diffusi nel Sud est asiatico é riuscito con i suoi collaboratori ad aumentare in maniera significativa la percentuale di amilosio ottenendo, in condizioni cliniche, una importante riduzione degli effetti del grano così trattato, sulla glicemia postprandiale.