Homo Faber

Homo Faber

Molta della nostra storia é passata attraverso l’abilità delle nostre mani di costruire e manipolare gli oggetti della vita quotidiana.


Un milione e ottocentomila anni fa è comparso nelle savane dell’Africa Orientale oltre la Rift Valley Homo erectus. È stato il primo esempio di un primate che si muoveva nell’ambiente con una andatura bipede obbligata, capace di vivere esclusivamente al suolo perché non più in grado di arrampicarsi e muoversi sugli alberi. Una rivoluzione. “Aveva una struttura fisica del corpo e un modo di muoversi nell’ambiente mai visto prima nelle savane africane, era diverso da tutti i suoi antenati, una assoluta novità anche rispetto ai suoi più recenti antenati come gli Australopitechi” E’ il commento di Henry Gee paleontologo e Senior Science Editor della rivista Nature.

Non più utilizzate per gli spostamenti e finalmente libere, le mani sono diventate da allora il supporto insostituibile per la vita quotidiana di quei nostri primi antenati. Sono state in grado di costruire e utilizzare rudimentali strumenti di pietra, di ossa, di legno. Hanno impugnato bastoni per estrarre cibo dalla terra, usato schegge di pietra per tagliarlo, per separare la carne dalle ossa e farne piccole strisce per poterle digerire in mancanza della dentatura specializzata dei carnivori. E altre decine di piccole e grandi azioni che sono ‘scomparse’ dentro la quotidianità della vita e hanno segnato la nostra lunga storia. Questi primati erano una grande novità. Nessun animale era mai stato in grado di compiere tutte queste operazioni così nuove e complesse che richiedevano abilità manuali e cognitive allo stesso tempo e rappresentavano un nuovo modo di rapportarsi con l’ambiente. Era l’inizio di una nuova era, niente sarebbe più stato come prima della comparsa di Homo erectus nelle savane africane.

“L’invenzione e la pratica di quelle tecniche pur così rudimentali per costruire strumenti che venivano utilizzati per la gestione della loro vita quotidiana, andavano già chiaramente oltre le capacità cognitive di qualsiasi primate non Homo allora vivente” ricorda Ian Tattersall, il curatore emerito del Museo Naturale di Storia di New York City. Le mani di quei primati non erano in grado di manipolare quegli oggetti, ma il vero problema era che non disponevano delle necessarie abilità cognitive, anche quelle più semplici. “La conclusione é che quei primi Homo disponevano non solo delle necessarie abilità manuali per costruire e usare quegli oggetti pur rudimentali, ma erano già entrati in un nuovo territorio cognitivo” osserva Tattersall ” Già allora erano in grado di elaborare informazioni sul loro ambiente di vita in modo complesso e questa capacità li rendeva molto vicini a noi uomini contemporanei più di ogni altro animale mai esistito”.

Gli oggetti, i componenti materiali di una cultura, sono l’interfaccia attivo fra il corpo umano e l’ambiente. “L’archeologia cognitiva ha dimostrato la rilevanza dell’ambiente culturale e materiale nel modellare la struttura e le funzioni del cervello” ricorda Emiliano Bruner del Centro Nacional de Investigation Sobre la Evolution Humana di Burgos in Spagna.

La tesi degli archeologi cognitivi é che la fabbricazione di oggetti da parte di Homo faber, sia stata al centro della condizione umana, un aspetto cruciale del nostro divenire, del modello di rapporto con l’ambiente attraverso il quale ci siano evoluti nei quasi due milioni di anni che intercorrono dalla nostra comparsa nelle savane africane ad oggi. “Homo faber piuttosto che erectus perché la sua capacità di costruire e utilizzare oggetti ha giocato un posto particolare nella evoluzione e nello sviluppo della nostra specie. La differenza non é stata esclusivamente in questa capacità unica quanto piuttosto nell’effetto che ha avuto nel nostro diventare umani questa lunga storia di produzione di oggetti connesse con le abilità necessarie per questo compito. Siamo diventati Homo faber perché abbiamo costruito oggetti i quali hanno modellato la nostra struttura cognitiva all’interno di una lunga storia di reciproci rimandi evolutivi” commenta Lambros Malafouris della School of Archaeology, University of Oxford, UK.

Erin Hecht del Department of Human Evolutionary Biology della Harvard University con la collaborazione di un gruppo di suoi studenti, ha simulato la costruzione di alcuni strumenti di pietra simili a quelli rinvenuti nelle gole di Olduvai nel nord della Tanzania risalenti a due milioni e seicentomila anni fa. “Abbiamo dimostrato che anche la costruzione di semplici oggetti di pietra simili a quelli rintracciati in quel sito archeologico, produce un rimodellamento di alcune zone frontoparietali del cervello” dice la Hecht “Questo rapporto tra gli oggetti e le abilità cognitive ha indotto nei nostri antenati una pressione selettiva che ha modellato la loro struttura cerebrale sfruttando la elevata plasticità cognitiva tipica del cervello umano che é in grado di adattarsi per fare fronte a nuove condizioni ambientali o di comportamento sociale. Per quei primi Homo, si é rivelato un adattamento chiave dal punto di vista evolutivo”.

Le mani liberate da compiti di locomozione dal bipedismo dei primi Homo, hanno reso possibile uno stile di vita che ruotava attorno agli oggetti. “Sappiamo che animali come gli scimpanzé, i macachi e alcune specie di uccelli usano occasionalmente oggetti semplici” dice Angelo Maravita del Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano Bicocca, “Ma solo gli esseri umani hanno uno stile di vita intrinsecamente integrato, embedded in termini tecnici, con gli oggetti e dimostrano una continua capacità di innovazione tecnologica. Siamo l’unica specie animale che con l’apprendimento sociale, trasmette culturalmente alle nuove generazioni, il know-how per la loro costruzione, la gestione e la capacità di progettarne di nuovi”. L’utilizzo quotidiano degli oggetti che fanno parte del nostro modo di vita, contribuisce a definire la percezione che abbiamo del nostro corpo inserito nell’ambiente, perché entrano a fare parte di quello che é stato definito ‘il body schema’. “E’ una dimensione fisica e cognitiva dello spazio che ci circonda la quale viene continuamente aggiornata nel cervello a livello subliminale” ricorda Maravita. Gli smartphone, questi oggetti diffusi a livello globale, in pochi anni hanno completamente rivoluzionato la nostra percezione cognitiva e il nostro rapporto con l’ambiente che si é ampliato a livello planetario.

Il corpo umano non é un insieme fisico di cellule chiuso in se stesso. “Riceve in continuazione un flusso di informazioni dall’ambiente esterno attraverso un sofisticato apparato percettivo. Gli occhi e le mani sono i principali canali attraverso i quali si trasferiscono le informazioni nelle due direzioni interno/esterno del corpo” dice Bruner “L’ambiente esterno entra nel cervello principalmente attraverso gli occhi, mentre a sua volta il cervello interagisce con l’ambiente utilizzando soprattutto le mani. Il corpo media queste diverse esperienze e il cervello diventa il centro che coordina il flusso di informazioni nei due sensi”. Dal punto di vista cognitivo questo modello di relazione tra interno ed esterno viene definito integrazione visuospaziale.

In questo sistema così articolato di rapporti, la morfologia delle mani ha avuto un ruolo di primo piano. Non a caso nella loro storia evolutiva, hanno acquisito funzionalità sofisticate. La loro sensibilità al tatto é la più alta fra tutte le zone del corpo umano poiché dispongono di oltre diciassettemila terminazioni nervose variamente distribuite sulla superficie. Il polso é un complicato sistema di leve e di pulegge che guida la mano nel suo movimento nell’ambiente. Ogni dito ha una corrispondenza indipendente dagli altri nella corteccia cerebrale. “Le mani non esercitano esclusivamente azioni meccaniche di varia intensità sugli oggetti, ma agiscono come sensori associati con particolari aree cerebrali, sono quindi un interfaccia biologico attivo e non un semplice componente anatomico passivo, anche se sofisticato” dice Bruner “Ed é interessante rilevare che la costruzione e la manipolazione di oggetti sono attività che fanno parte di distinti percorsi neuronali e cognitivi”. Il ruolo delle mani nel genere Homo non é sta to lineare ed ha avuto una storia evolutiva differenziata fra le specie. E’ noto che i “Neanderthal avevano bisogno del supporto dei denti e della bocca per potere manipolare con efficienza gli oggetti” ricorda Bruner “e questo probabilmente implicava che disponessero di differenti modelli di integrazioni visuospaziali rispetto ai Sapiens”.

“È intrigante constatare come la fase evolutiva che ha condotto alla forma definitiva del cervello dei Sapiens sia avvenuta in parallelo con l’emergere della loro modernità cognitiva e di nuove abilità manuali documentate dai reperti archeologici” ricorda Simon Neubauer dell’Institute of Anatomy and Cell Biology, Johannes Kepler University, Linz, Austria. Sono microliti per la produzione di frecce, degli archi per la caccia, di pitture rupestri, dei trattamenti termici per gli strumenti in pietra, delle ossa lavorate, di ornamenti per il corpo finemente decorati, delle migrazioni iniziate in quel periodo che hanno interessato in progressione gran parte delle terre emerse. Un presagio di quello che alcuni millenni dopo sarebbe avvenuto con l’invenzione dell’agricoltura.