Idrogeno

Idrogeno

Con il suo carico di novità in termini di riduzione dei costi e dell’inquinamento ambientale quello nativo proveniente dall’attività estrattiva può cambiare nel giro di alcuni anni il mercato dell’energia.


1987, villaggio di Bourakébougou nel Mali meridionale. Una trivellazione realizzata per la ricerca dell’acqua ha casualmente intercettato un sito di idrogeno nativo, il primo di questo genere al mondo. È un evento che ha rappresentato una svolta storica e potrebbe rivelarsi ricca di risvolti economici e ambientali in un futuro prossimo. Era la prova delle ipotesi avanzate da un ristretto gruppo di geologi, fino ad allora isolati nel mondo scientifico, della esistenza dell’idrogeno allo stato gassoso nel sottosuolo terrestre. Teorie, ipotesi, speranze formulate sulla base di un insieme di forti indizi della presenza di questo elemento in alcuni siti di scavo localizzati in diversi continenti. Quel pozzo nel Mali ha messo in moto delle opportunità, fino a pochi anni fa solo ipotetiche, che in questi primi decenni del secolo potrebbero rivelarsi cruciali per il settore energetico a livello globale e il suo contraddittorio rapporto con l’ambiente. In particolare, sulla possibilità che l’idrogeno nativo possa innescare forme di sviluppo sostenibile in termini di riduzione dell’inquinamento e della immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Come tutte le novità, ha rotto un velo e ha dato impulso a nuove iniziative in tema di produzione energetica a livello globale.

“Consideriamo l’apertura di questo pozzo in Mali come il primo di una lunga serie e la chiara dimostrazione della esistenza  di riserve naturali di idrogeno nativo in quantità importanti, che aprono la possibilità del loro sfruttamento industriale come è già avvenuto nel passato con il petrolio e il metano” commenta Alain Prinzhofer dell’Institut de Physique du Globe de Paris “Il suo costo di estrazione e di industrializzazione è stato stimato che sia da 2 a 10 volte più basso di quello dell’idrogeno prodotto con tecniche tradizionali rendendolo così molto attrattivo come risorsa energetica alternativa alle attuali”. Aliou Diallo il direttore di Hydroma l’azienda che gestisce il pozzo del Mali, ha confermato queste stime teoriche. Sulla base dei conti economici del pozzo attualmente in attività, ha calcolato che il suo costo di produzione è minore di un dollaro per chilogrammo, un valore che rende l’idrogeno molto attrattivo dal punto di vista industriale.

“La produzione di energia da fonti rinnovabili come l’eolico o con celle solari non è di per sé inquinante, ma richiede l’utilizzo di molte risorse naturali derivanti dall’attività estrattiva che non è precisamente ecologica. Necessita di materiali e metalli particolari provenienti da un numero ristretto di paesi che sono diventati così strategici per questo mercato dell’energia, un vincolo che può rivelarsi pericoloso sul lungo periodo”. dice Isabelle Moretti ricercatrice all’Université de Pau et des Pays de l’Adour, France. “Trovare un nuovo modo di produrre idrogeno con attività estrattive a ridotte emissioni di anidride carbonica che non dipendono da materiali strategici, con un ciclo tecnologico ormai consolidato da tempo nel settore petrolifero che è in grado di garantire produzioni regolari, può diventare un fattore cruciale e di grande valore ai fini di uno sviluppo sostenibile e diffuso in molti paesi, alcuni dei quali sottosviluppati come il Mali, lontani dai grandi circuiti dell’energia”.

Sarebbe un passo in avanti importante perché attualmente la totalità dell’idrogeno disponibile è prodotto industrialmente. Settanta milioni di tonnellate ne vengono consumate annualmente a livello globale largamente per usi industriali con la previsione di un fabbisogno che potrebbe raggiungere i 550 milioni nel 2050. Attualmente l’idrogeno ‘grigio’ proviene per il 78% dalla lavorazione degli idrocarburi e il 18% dal carbone. Quello prodotto con l’elettrolisi dell’acqua, l’idrogeno ‘verde’, rappresenta solo il 4% del totale annuale. I primi due rilasciano grandi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, mentre l’elettrolisi è molto costosa. Ad eccezione di quest’ultima, sono entrambe produzioni inquinanti, in forte contraddizione con la pulizia della combustione dell’idrogeno. Una situazione poco sostenibile sul piano ambientale. L’idrogeno nativo riduce i costi come affermano Prinzhofer e Diallo e non c’è nessun possibile confronto sul piano dell’inquinamento. La sua combustione produce vapore acqueo utilizzando bruciatori con tecnologia ‘senza fiamma’ i quali hanno il vantaggio che possono funzionare a metano, a idrogeno oppure con i due gas miscelati in percentuali diverse fra loro. In termini economici e ambientali è già tutto pronto per l’uso dell’idrogeno nativo. Il suo stoccaggio e la distribuzione è un network già ampiamente collaudato con quello proveniente dalla produzione industriale.

L’idrogeno nativo si forma all’interno della crosta terrestre attraverso processi biologici di varia natura. Può essere prodotto attraverso reazioni chimiche ad alta temperatura fra acqua e minerali ricchi di ferro presenti in grandi quantità all’interno del mantello terrestre che convertono questi minerali, in particolare l’olivina, in serpentinite. Il ferro si ossida e incorpora atomi di ossigeno dalle molecole dell’acqua rilasciando idrogeno. È un processo diffuso a livello globale per la presenza di queste rocce ricche di ferro in molte placche tettoniche continentali e nelle fumarole della dorsale medio atlantica. Anche la naturale radioattività presente in certe zone della crosta terrestre con la radiolisi é in grado di separare idrogeno e ossigeno dell’acqua. Secondo Barbara Sherwood Lollar del Department of Physical and Environmetal Sciences, University of Toronto, Canada, l’80% dell’idrogeno terrestre é prodotto con la serpentinizzazione e il rimanente 20% con la radiolisi. Ma ci sono in ipotesi altre sorgenti geologiche di facile accesso: i cratoni di origine Precambriana che si sono formati mezzo miliardo di anni fa. Sono le parti più interne delle piattaforme continentali e Viacheslav Zgonnik del Natural Hydrogen Energy LLC, France in un dettagliato lavoro di ricognizione su decine di siti, ne ha segnalati centinaia in Russia, negli USA e in molte altre localizzazioni. La sorgente maggioritaria di idrogeno in queste aree è sempre la ossidazione di rocce ricche di ferro.

“Va fatto notare che al contrario del metano o del petrolio, l’idrogeno è una risorsa che viene generata in continuazione nel sottosuolo terrestre” commenta Zgonnik. “I processi naturali che lo producono sono attivi da milioni di anni e continueranno ancora per il futuro. Per questo l’idrogeno deve essere considerato a tutti gli effetti una fonte di energia rinnovabile”. Negli ultimi anni nel pozzo di Bourakébougou dopo che la produzione é stata portata a regime, non è stata osservata nessuna riduzione della pressione dell’idrogeno in uscita che è rimasta stabile attorno al valore di 4 bar. Una osservazione questa che rende difficile le stime delle possibili quantità totali di questo gas sulla Terra, le quali in ipotesi dovrebbero essere molto elevate considerando la diffusione ubiquitaria delle rocce a base di ferro nella crosta terrestre e le relative inclusioni di materiali radioattivi.

“I paesi attualmente all’avanguardia in questa corsa all’idrogeno iniziata in questi anni sono gli Stati Uniti e l’Australia. Le loro tradizioni in termini di professionalità umane adeguate, del gran numero di aziende specializzate nel settore minerario e l’estrema vastità del loro territorio, li pongono all’avanguardia in questa corsa” dice Moretti. “Sono paesi con una particolare conformazione geologica del loro sottosuolo che favorisce l’accumulo di idrogeno e dispongono già ora di un apparato normativo adeguato, non sempre presente in altri paesi occidentali”. Per l’Italia sappiamo che esistono “Contesti geologici favorevoli sugli Appennini e sulle Alpi e disponiamo di alcune complete misurazioni del contenuto di questo gas nelle principali zone di produzione geotemica a Larderello e nella zona di Napoli” dice Luigi Piccardi ricercatore presso il CNR, Istituto di Geoscienze e Georisorse di Firenze.

“Complessivamente gli ultimi dati che abbiamo a nostra disposizione suggeriscono che l’idrogeno nativo è disponibile a livello globale in volumi rilevanti con una accessibilità garantita da tecnologie già lungamente collaudate per il petrolio e il gas naturale, poco costose e con emissioni ridotte. Significa che in un futuro anche molto prossimo, potrebbe diventare una delle principali fonti di energia di una economia caratterizzata da ridotte emissioni di anidride carbonica che sia in linea con la necessità più volte dichiarata di controllarne i suoi valori in atmosfera” conclude Moretti.