21 Feb Il Ciclo Riproduttivo
È al centro della vita dei mammiferi ma il significato evolutivo di questo particolare percorso metabolico è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori.
La recente scoperta che anche le femmine di scimpanzè della specie Pan troglodytes vanno in menopausa ha creato scompiglio nella comunità degli antropologi. È un evento che ha riaperto, questa è la novità, il dibattito su una questione chiave ancora oggetto di interpretazioni contrastanti tra gli addetti ai lavori: il significato che va assegnato alla menopausa, la interruzione della maturazione degli oociti nelle femmine dei mammiferi quando hanno ancora davanti a sé una prospettiva di vita attiva di parecchi anni. È un tema ancora irrisolto nel dibattito scientifico.
Una interruzione della capacità riproduttiva delle femmine di mammiferi che sembrava essere una caratteristica diffusa solo fra gli esseri umani, gli elefanti asiatici e cinque specie di balene dentate. È una contraddizione in termini poiché l’obbiettivo delle specie animali, umani compresi, è massimizzare il successo riproduttivo mentre la menopausa interrompe un ciclo di possibili nuove nascite. Sulla questione ironizza e puntualizza Patricia Monaghan della School of Biodiversity, University of Glasgow, UK. “Oltre la menopausa non è ancora arrivato il tempo di morire, la sopravvivenza post riproduttiva delle donne è un tratto favorito dalla selezione naturale. Si apre un nuovo periodo della loro vita caratterizzato da una maggiore attenzione a loro stesse e dalle cure parentali dei nipoti e dei figli che va oltre la loro generazione”.
Nella nostra specie questo brusco stop alle capacità riproduttive è stato messo in relazione ad alcuni aspetti tipici del nostro stile di vita acquisito dopo la comparsa di Homo erectus nell’Africa Orientale un milione e ottocentomila anni fa, la ‘teoria della nonna’ è stata definita. L’interruzione della capacità riproduttiva delle donne è stata inserita in uno scenario di allevamento condiviso della prole che ha caratterizzato le minisocietà dei nostri antenati. Le nonne non fertili svolgevano una ben definita funzione sociale inquadrata dentro un sistema di vita caratterizzato dalla condivisione di tutte le attività quotidiane tipiche di quelle mini-tribù di cacciatori raccoglitori: alimentazione, raccolta del cibo, cura della prole, difesa dai predatori.
Secondo questa ipotesi in quelle minisocietà solo delle nonne non fertili avrebbero potuto accudire i nipoti nel lungo periodo di crescita in collaborazione con gli altri parenti e alloparenti, madri e padri biologici, cugini, zii, fratelli e sorelle più grandi, zie non fertili a partire dalla nascita e fino all’adolescenza e oltre in tutte le pratiche di vita quotidiane. Una distribuzione degli impegni connessi con lo sviluppo della prole che ha consentito di migliorare il successo riproduttivo di specie con la riduzione ad una media di 3,4 anni gli intervalli fra le nascite contro i 5,6 degli scimpanzè che ha dato un contributo decisivo allo sviluppo di quelle microsocietà.
Tra tutti i primati la nostra specie è quella che pratica il più lungo periodo di accudimento dei propri eredi: tra la nascita e l’inizio della età adulta attraverso fasi alterne di cicli di sviluppo, trascorrono in media diciotto anni. Una lunga stagione contrassegnata da grandi costi umani, materiali ed energetici, distribuiti in misura diversa fra tutti i membri della tribù. È stato valutato che il costo in termini di energia di un membro della tribù dalla nascita alla maggiore età era grossomodo di dodici milioni di chilocalorie.
Un costo bilanciato da vantaggi in termini di sopravvivenza e di sviluppo della tribù, in particolare dell’accumulo di conoscenze che veniva trasmesso fra generazioni attraverso l’attività di cultural learning, che ha permesso ai nostri antenati di raggiungere traguardi di grande rilievo sul piano della evoluzione culturale. Sopra tutto e tutti lo sviluppo del pensiero simbolico, del linguaggio e l’invenzione della agricoltura. Una innovazione che non è stata una passeggiata o un evento improvviso secondo certe interpretazioni, ma la testarda trasmissione tra generazioni durata alcuni millenni di piccole e grandi innovazioni in tema di domesticazione delle piante più adatte alla alimentazione umana. Sono stati necessari lunghi interventi di selezione genetica con tecniche di ibridazione rudimentali per raggiungere questo obbiettivo non scontato.
Una teoria affascinante questa del rapporto fra menopausa e ruolo delle nonne nelle società ancestrali, che non ha ricevuto riscontri empirici dalle ricerche sul campo realizzate sulle tribù che praticano ancora un sistema di vita tradizionale stanziate in alcuni territori dell’Africa e del Sud America. Non è stata riscontrata alcuna relazione fra l’insorgere della menopausa e le cure alloparentali praticate dalle nonne. Piuttosto è emersa una volta di più la importanza del loro ruolo nel contesto complessivo di tutte le attività sociali connesse con la vita di quelle tribù, gestione della prole inclusa. L’unico legame indiretto che ha una relazione con la interruzione della oogenesi è la maggiore disponibilità di tempo da dedicare a queste attività sociali piuttosto che alla loro ipotetica prole.
Nel frattempo, è venuta a cadere anche la presunta unicità del fenomeno della menopausa tra i mammiferi. “I dati che abbiamo raccolto indicano che la grande maggioranza delle femmine dei mammiferi vanno in menopausa, anche se abbiamo riscontrato ancora molta confusione tra gli addetti ai lavori nella comprensione di questo fenomeno cruciale del loro metabolismo riproduttivo” commenta Ivana Winkler del German Cancer Research, Heidelberg, Germany. Con un radicale cambiamento di prospettiva la chiave del fenomeno è stata individuata nella fisiologia del corpo delle femmine di mammifero, in particolare nel rapporto fra metabolismo, invecchiamento del corpo e delle ovaie e i delicati percorsi della maturazione degli oociti.
Per garantire al meglio la qualità del successo riproduttivo, tutti i percorsi fisiologici e metabolici coinvolti nella fecondazione/gestazione/nascita devono essere ottimizzati. Il principale ostacolo al raggiungimento di questo obbiettivo è il generale invecchiamento del corpo e in particolare il declino delle possibilità/capacità riproduttive della donna: la menopausa è il segnale che quel corpo non è più in grado di garantire la qualità del risultato finale. Il declino della fertilità prodotto dall’invecchiamento delle ovaie è rapido ed è in relazione con il peggioramento quantitativo e qualitativo della riserva di ovociti nelle ovaie. Il declino è pari al 25% a 25 anni, si riduce ad un 12% del totale a 35 anni, al 6% a 42 anni fino ad annullarsi del tutto fra i 45 e i 50 anni.
Particolarmente interessati all’invecchiamento sono gli oociti. Durante il processo della gametogenesi immagazzinano decine di proteine che a fecondazione avvenuta diventano indispensabili per lo sviluppo dell’embrione il quale ha bisogno proprio di una grande quantità di queste molecole in queste prime fasi prime fasi della sua crescita. L’invecchiamento delle ovaie riduce la loro capacità di produzione proteica e allo stesso tempo interferisce con la qualità del DNA mitocondriale che con l’invecchiamento accumula mutazioni con il possibile rischio di trasmetterle alla prole. Sul piano quantitativo diminuisce la produzione di nuovi mitocondri cruciali in questa fase per fornire l’energia che alimenta lo sviluppo dell’embrione. Il corpo segnala che è arrivato il tempo di interrompere le pratiche riproduttive troppo importanti da essere affidate a organi non perfettamente funzionanti.