La Nostra Alimentazione

La Nostra Alimentazione

Negli ultimi decenni ha subito una radicale trasformazione qualitativa che ha prodotto una lunga serie di effetti negativi sulla salute umana.


La Harvard T.H. Chan School Of Public Health di Boston non ha dubbi sul rapporto che esiste fra alimentazione e malattie. “Un modello di dieta sano é associato con il minimo rischio di morbilità e di mortalità per il diabete mellito, per le malattie cardiovascolari, quelle neurodegenerative e infine per il cancro. Questi benefici per la salute umana sono stati più volte replicati dai risultati dei trial clinici realizzati negli ultimi anni”. Sono le considerazioni poste a conclusione di una ricerca di lunga durata, realizzata su un campione statistico rappresentativo di americani adulti, uomini e donne. Visti i dati epidemiologici sulla elevata mortalità causata da queste patologie in tutto il mondo occidentale e nei paesi emergenti, bisogna capire cosa é successo al nostro modello di alimentazione.

Dagli anni ’60 del secolo scorso a partire dagli Stati Uniti e in successione nei paesi occidentali, sono cambiati i modelli di alimentazione delle tradizioni locali che sono stati soppiantati da un insieme di pratiche alimentari definite dai nutrizionisti dieta occidentale. L’analisi dei dati riguardanti gli Stati Uniti che coprono cronologicamente gli anni dal 1965 al 2016, indicano che il principale cambiamento in tema di alimentazione é stato il progressivo incremento percentuale dei carboidrati nella dieta che é passato dal 37% a oltre il 50% del totale dei macronutrienti assunti.

L’aspetto chiave della questione é che ben oltre l’80% di questi carboidrati sono considerati dagli stessi autori dello studio, carboidrati di bassa qualità perché la loro assunzione produce l’aumento della glicemia e dell’insulina in circolo nel corpo umano. Sono le materie prime di un gran numero di cibi e bevande di consumo quotidiano caratterizzati da percentuali variabili di glucosio, fruttosio e di amido digeribile contenuto nelle farine raffinate utilizzate in molte preparazioni gastronomiche e presente in percentuali elevate nel pane, nella pasta e nel riso. È il modello di dieta che si è consolidato negli ultimi decenni in tutti i paesi ad alto sviluppo economico ed è ad elevato indice glicemico. Questo é il cuore del problema.   

“La qualità dei carboidrati che assumiamo con la dieta é più importante della loro quantità” ricorda John L. Sievenpiper del Department of Nutritional Sciences, University of Toronto, Canada “Sono tradizionalmente classificati secondo la dimensione della loro molecola, tra semplici e complessi, ma questo non riflette in alcun modo il ruolo che giocano nel metabolismo umano“. Un concetto che non ha mai avuto bisogno di chiarimenti per il nostro corpo che da sempre li gestisce in modo differenziato. Quelli semplici vengono digeriti e assimilati dall’intestino tenue mentre quelli complessi nell’intestino crasso ad opera dei batteri del microbiota. “Le rassegne sistematiche di studi clinici realizzati su questo tema, indicano con chiarezza che i carboidrati della frutta, dei vegetali, dei cereali integrali, dei legumi sono associati ad una riduzione dei fattori di rischio di morte, di malattie cardiovascolari e di diabete 2, che invece si impennano quando c’é una presenza percentualmente rilevante di carboidrati raffinati ad elevato indice glicemico nella dieta” ricorda Sievenpiper. Chiaro.

Il glucosio e i lipidi sono i due combustibili che alimentano il nostro corpo in proporzioni che dipendono dalla dieta e dallo stile di vita. Ma in una dieta ad elevato indice glicemico, é il glucosio la fonte principale di energia e questo cambia le carte in tavola del metabolismo nutritivo umano. Questo é il risultato di uno studio realizzato da Kim J. Shimy del Children’s National Hospital, Washington DC come prima firmataria. Secondo questa ricerca in questo tipo di dieta, il glucosio fornisce più del 65% dell’energia totale giornaliera e di fatto ‘colonizza’ il metabolismo energetico umano. Una presenza che dà origine ad un consumo compulsivo di questi cibi dovuto a fattori di natura fisiologica e cerebrale.

Si crea di fatto una assunzione quotidiana di calorie che va oltre i bisogni nutritivi del corpo. L’eccesso calorico viene trasformato in grassi attraverso il meccanismo della lipogenesi. Vengono immagazzinati nella zona viscerale e rimangono in quella posizione perché sono sottoutilizzati come combustibile e si assiste così alla loro progressiva crescita quantitativa. Allo stesso tempo la costante presenza di glucosio in circolo nel sangue ha l’effetto di disattivare la lunga catena enzimatica che é necessaria per potere utilizzare i lipidi come combustibile per il corpo umano. Una immobilizzazione che é regolata dalla molecola organica Malonyl-CoA la quale ha la proprietà di commutare il metabolismo energetico umano fra l’uso del glucosio e quello dei lipidi.

“La concentrazione di Malonyl aumenta quando il corpo é ben fornito di glucosio” dice Sareen Gropper nel suo Advanced Nutrition and Human Metabolism “In queste condizioni è il carburante che alimenta in esclusiva le cellule e il suo eventuale eccesso viene immagazzinato come glicogeno o trasformato in lipidi. A sua volta l’iperglicemia prodotta dal glucosio impedisce l’uso dei lipidi accumulati nel tessuto adiposo”. È un metabolismo energetico ad accumulo di grassi come è stato definito. Un meccanismo che si autoriproduce e può essere interrotto solo con una riduzione delle quantità di glucosio in circolo nel sangue. Può avvenire con un radicale cambio di dieta oppure praticando non occasionalmente attività fisica aerobica che viene alimentata grossomodo in parti uguali da glucosio e lipidi.

In questa vicenda che può essere definita una ‘corsa ai lipidi‘, anche il cervello gioca la sua parte. Cara Ebbeling con un gruppo di ricerca della Harvard Medical School di Boston in Massachusetts, ha affrontato questa questione dell’eccesso di assunzione calorica, partendo dalle risposte che alcune aree cerebrali mettono in atto verso alcuni tipi di cibo, in particolare ha monitorato il comportamento dei nuclei accumbens collocati alla base del cervello umano. Per Ebbeling e collaboratori le sorprese sono arrivate quando hanno utilizzato diete con una elevata percentuale di zuccheri sia con studi sulle cavie che sugli esseri umani. “Un prolungato consumo di questi carboidrati raffinati induce nei soggetti un comportamento compulsivo che coinvolge le risposte dei nuclei accumbens” dice Ebbeling. “Quando questo modello alimentare diventa una pratica quotidiana, l’attivazione dei nuclei si protrae nel tempo e si trasforma in una costante alterazione dei circuiti neuronali della ricompensa. Questi risultati sollevano la possibilità che una assunzione continua e non occasionale di carboidrati raffinati possa attivare percorsi neuronali che potrebbero essere assimilati ad una forma di dipendenza verso i cibi ricchi di glucosio visti gli elevati livelli di ricompensa che questi producono sui consumatori.”

Questo scenario metabolico e cognitivo prodotto da una dieta ad elevato indice glicemico é stato l’oggetto di svariati studi clinici al fine di determinare i suoi effetti sul fattore di rischio di sviluppare malattie non trasmissibili come il diabete 2 e quelle cardiovascolari. Sono state utilizzate delle rassegne sistematiche di studi di coorte realizzati su questi temi che hanno coinvolto migliaia di partecipanti per più anni consecutivi. Nella maggior parte dei casi i risultati ottenuti sono concordi nell’indicare come questo modello di alimentazione sia da mettere in stretta relazione con l’aumento statistico del fattore di rischio per queste due malattie non trasmissibili così diffuse nei paesi sviluppati con quelle cardiovascolari costantemente al primo posto per mortalità e morbilità.

Si pone il problema quindi di un modello di alimentazione che vada oltre la falsa dicotomia delle diete high o low carb e imbocchi invece con decisione la strada della sostituzione dei carboidrati raffinati con quelli complessi dei cibi vegetali con un basso indice glicemico e hanno una lunga serie di effetti positivi sul metabolismo umano. Rallentano il transito intestinale del cibo in digestione con la riduzione della velocità di assimilazione dei nutrienti, contribuiscono a preservare le funzioni di barriera del muco intestinale, alimentano un organo essenziale come il microbiota, apportano minerali e vitamine in quantità superiori dei carboidrati semplici in genere molto poveri, sviluppano un forte senso di sazietà.

È il tipo di dieta praticata dagli Tsimane delle foreste dell’Amazzonia e da alcune tribù tradizionali dell’Africa come gli Hadza che non sanno cosa siano le malattie cardiovascolari e il diabete 2. Modelli viventi non risultati di studi clinici inevitabilmente limitati nel tempo e nel numero di partecipanti.