20 Ago Le Giraffe
Hanno un sistema cardiocircolatorio in grado di sopportare le elevate pressioni sistoliche prodotte dalla loro morfologia e dall’impegnativo stile di vita delle savane africane.
La loro pressione arteriosa a livello degli zoccoli è sui 280 millimetri di mercurio, all’altezza del cuore 180 e nel cervello in media 100. Valori di pressione che potrebbero essere mortali per gli esseri umani. È il risultato della loro lunga storia evolutiva iniziata in Africa undici milioni di anni fa quando si sono separate da un antenato che condividevano con l’Okapi. Da allora le giraffe hanno modellato un corpo che può arrivare a sfiorare i sei metri di altezza con una morfologia unica fra gli animali.
Il loro apparato cardiocircolatorio ha dovuto sviluppare inedite modalità di funzionamento affinché il sangue in ogni istante della loro movimentata vita possa raggiungere tutti i suoi organi cervello compreso. Quando bevono e sollevano la testa a volte troppo rapidamente per l’incursione di un predatore, si verifica un salto di pressione improvviso che mette a dura prova il loro cuore. Un organo che deve supportare non solo le loro quotidiane attività fisiche ma anche quelle connesse con la difesa contro i predatori, che in genere sono i leoni. La corsa ad oltre i sessanta chilometri all’ora e le loro inconsuete funzionalità cardiache che la supportano, sono alla base della loro sopravvivenza.
“In un regime di alta pressione sanguigna quando il cuore viene pesantemente sollecitato da carichi di lavoro prodotti da intense attività fisiche, ispessisce le sue pareti e negli esseri umani nel corso del tempo sviluppa un tessuto cicatriziale noto come fibrosi” dice Barbara Natterson-Horowitz della Division of Cardiology, University of California a Los Angeles “Il cuore diventa più rigido del normale e si indebolisce progressivamente, una patologia che negli esseri umani provoca migliaia di morti ogni anno. Ma le giraffe hanno trovato il modo di aggirarla e sono in grado di correre ripetutamente a velocità superiori a quelle di un leone, senza che si creino evidenti danni al loro cuore”.
Le femmine di giraffe hanno un problema in più, comune a tutto il mondo animale. Devono essere in grado di salvarsi dai predatori anche quando sono incinte con tutte le difficoltà connesse a questa condizione in termini di eccesso di peso, un aumento che può sfiorare i cento chili fra feto, placenta e grasso corporeo. Gli strumenti della loro difesa sono gli stessi dei maschi, ma la loro percentuale di successo deve essere molto elevata perché devono garantire il futuro della specie. Lo stesso vale per il predatore se è una femmina, caso frequente nei leoni, paradossali incroci di destini tra femmine animali. A quanto è dato di osservare in termini di risultati evolutivi di lunga data il metabolismo delle giraffe e delle leonesse ha funzionato a dovere.
Nelle stesse condizioni, le donne non sarebbero in grado di sopportare stress di questa portata. Soffrono in genere di un insieme di sindromi riconducibili alle loro condizioni, in particolare sono soggette a disturbi al loro sistema cardiocircolatorio che in molti casi si manifesta con l’ipertensione. Al contrario delle femmine di giraffa, hanno ridotte capacità fisiche che sono compromesse dal peso del feto e dagli altri cambiamenti intervenuti nel metabolismo del loro corpo. Non ci sono paragoni possibili con le giraffe nelle loro stesse condizioni gestazionali. Un fenomeno che potrebbe fornire interessanti indicazioni per ridurre almeno in parte la gravità di alcune patologie tipicamente umane.
Informazioni utili potrebbero arrivare non solo dalle giraffe. Natterson-Horowitz ha compilato una lista di animali il cui metabolismo dovrebbe essere l’oggetto di studi clinici per le nuove conoscenze che potrebbero essere trasferite alla medicina ‘umana’. Per i problemi cardiaci e l’ipertensione oltre alle giraffe bisognerebbe studiare i pitoni, gli orsi per l’osteoporosi, gli elefanti per il cancro, i colibrì per il fegato grasso, per l’ischemia gli elefanti marini dei mari del sud e altri ancora. Biomimesi è stata definita questa nuova disciplina scientifica che va alla ricerca delle possibilità di trasferire alcune conoscenze dagli animali agli esseri umani.
Nel corso della loro storia, alcuni animali hanno evoluto meccanismi per la rigenerazione e la riparazione dei tessuti, per la resistenza ai patogeni e alla senescenza, per la protezione dai raggi UV. “Questo ci ricorda che nel mondo ‘naturale’ ci sono innumerevoli soluzioni che potremo adattare ai nostri bisogni fisiologici o per trarre insegnamenti utili per affrontare alcune nostre specifiche patologie” racconta Peter Stenvinkel del Department of Clinical Sciences, Karolinska Institutet, Stockolm, Sweden “Siamo in presenza di percorsi metabolici alternativi poiché la selezione naturale non mette in campo soluzioni uniche e predefinite razionalmente, ma le adatta progressivamente fra le generazioni, per rispondere in modo efficace alle sfide poste dall’ambiente in un determinato periodo storico”.
E spesso sono percorsi metabolici sorprendenti quanto quelli delle giraffe. “Immaginate di essere una femmina di una certa età. Siete stata senza nutrirvi e fisicamente inattiva sei mesi l’anno per almeno un decennio mentre durante gli altri sei mesi vi siete ipernutrita fino a diventare obesa. Nei mesi di sedentarietà e digiuno avete dato alla luce un paio di dozzine di cuccioli che avete svezzato, nutrito e difeso dai predatori. Dopo tutte queste vicissitudini non avete sintomi di osteoporosi e il vostro apparato muscolare è in piena forma così come il vostro metabolismo. Siete stata una splendida madre. In breve, questa è la vita di un’orsa.” È uno stralcio dell’introduzione di Seth Donahue della Michigan Technological University, Houghton, Michigan ad un suo lavoro di rassegna sul metabolismo degli orsi che ha molto da insegnarci.
Nonostante tutto è un settore di studio che finora ha generato perplessità fra i medici. “E’ un fenomeno di natura culturale. Non è facile per un medico accettare che dagli animali possano arrivare suggerimenti utili per la loro professione, perché considerano gli esseri umani animali unici ed eccezionali e trovano inaccettabile che i veterinari abbiano qualcosa da insegnare loro“ commenta Natterson-Horowitz “Bisogna allargare il nostro quadro concettuale come è successo nel mio caso quando ho iniziato a collaborare nel 2005 con lo zoo di Los Angeles. I veterinari dello zoo e gli animali stessi sono diventati dei validi insegnanti e ho imparato che la maggior parte delle malattie che colpiscono gli umani possono svilupparsi anche in altre specie animali.”
Per le giraffe lo studio clinico di Chang Liu della School of Ecology and Environment, Northwestern Polytechnical University, Xi’an, China, ha trovato alcuni indizi clinici. “E’ il gene FGFRL1 che condiziona la loro capacità di gestire le sfide poste dal loro sistema cardiocircolatorio con alti livelli di pressione e di sviluppare la inusuale resistenza meccanica delle loro lunghe ossa” commenta Chang Liu.
Il suo collega coreano Hye-Won Cho del Department of Medical Sciences, Soonchunhyang University, Repubblic of Korea, ha fatto un passo in avanti con uno studio di genetica delle popolazioni, l’Health Examinee, realizzato su un campione di oltre 58.000 cittadini della Corea del Sud reclutati in zone urbane e rurali. “Le nostre conclusioni hanno confermato i risultati di Chang Liu sulle giraffe. Le varianti genetiche associate con il gene FGFRL1 che influenzano l’altezza, la resilienza all’ipertensione e alla osteoporosi, abbiamo rilevato che sono presenti nella popolazione coreana” dice Hye-Won Cho “Sulla base di questi risultati si tratta di lavorare per trovare un possibile percorso genetico per intervenire sul alcuni percorsi del fragile metabolismo connesso con sistema cardiocircolatorio umano”.