Microbi e Clima

Microbi e Clima

L’Intergovernmental Panel on Climate Change e la recente sessione di COP 28 nei loro periodici modelli di previsione ignorano regolarmente gli effetti indotti da virus, batteri e funghi sul cambiamento climatico in atto.


È una assenza rumorosa. “I microbi non sono ancora stati associati concettualmente alle scienze della Terra” commenta Kenneth Timmis dell’Institute of Microbiology, University of Braunschweigh, Germania “Il risultato è che i nostri colleghi di altre specializzazioni ignorano il ruolo che giocano nel clima del pianeta. Con le nostre organizzazioni professionali dovremo sviluppare al più presto una intensa opera di lobbying affinché questa situazione imbarazzante sul piano scientifico e su quello operativo abbia fine almeno a partire dalla prossima COP e per inserire gli effetti prodotti dai microbi nel modello climatico utilizzato dall’IPCC”.

C’è l’impellente necessità che le previsioni per il futuro diventino sempre più affidabili. Membri della American Society for Microbiology in collaborazione con altre organizzazioni professionali analoghe si stanno muovendo in modo coordinato con l’obbiettivo minimo di accreditare una loro delegazione alla prossima COP per porre le basi di una futura collaborazione.

La questione in realtà e più ampia e coinvolge altri ambiti di ricerca. La preoccupazione dei biologi specializzati in microbiologia riguarda il diffuso disconoscimento del ruolo che i microbi in tutta la loro grande varietà tassonomica, svolgono nell’equilibrio generale dei biomi del pianeta, esseri umani compresi. Trentadue microbiologi di varie Università europee hanno redatto un corposo documento pubblicato nel 2019 nel quale denunciano la necessità di una alfabetizzazione delle società sull’importanza dei microbi negli ecosistemi terrestri.

È stato il tentativo di questi ricercatori di mettere al centro della attenzione dei colleghi di altri ambiti scientifici e del pubblico in generale dei risultati della ricerca scientifica degli ultimi decenni i quali ci ricordano che coralli, esseri umani, pesci, primati, erbivori, mammiferi marini e i due più grandi ecosistemi del pianeta, foreste pluviali e oceani, ‘funzionano’ solo grazie alla collaborazione a vario titolo dei microbi. Un radicale cambio di paradigma, oltre le eredità di Pasteur e Koch.

I microrganismi sono onnipresenti negli oceani, ambienti nei quali svolgono un ruolo chiave i molti processi biogeochimici, come il ciclo del carbonio e dei nutrienti. Con una stima di un centinaio di cellule per millilitro, la loro biomassa, combinata con alti tassi di turnover fornisce le basi per l’immensa diversità genetica degli oceani. Questi microrganismi e le comunità che formano e guidano sono in grado di rispondere a tutte le variazioni ambientali prodotte dal cambiamento climatico e alla diminuzione del contenuto di nutrienti e ossigeno, elementi chiave di questo ecosistema.

“I correnti modelli climatici sono largamente focalizzati sulle funzioni che riveste l’ecosistema piante sopra la superficie del suolo” ricorda Stefano Mancuso del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Università di Firenze “Ma in realtà sono le radici in simbiosi con le micorrize e il microbiota del suolo il motore dell’esteso micromondo sotterraneo che è in grado di alimentare e mantenere in vita questo ecosistema e la sua capacità di assorbire dalla atmosfera terrestre circa cinquanta gigatonnellate di anidride carbonica tutti gli anni”.

Il microbiota esercita il controllo di tutti gli stadi dello sviluppo della ramificazione delle radici, incrementandone il numero e la loro estensione fisica nel sottosuolo, è il regolatore endogeno che condiziona lo sviluppo di tutta la pianta. Un micromondo sensibile alle variazioni climatiche che può esercitare un ruolo positivo nel limitare ulteriori aumenti delle temperature globali.

Negli oceani che coprono i due terzi della superficie terrestre siamo di fronte ad una situazione speculare a quella dell’ecosistema piante: il mondo micro è il suo centro motore. “Il fitoplancton è composto da organismi unicellulari con dimensioni che spaziano da un milionesimo di metro a pochi millimetri con funzioni diverse fra loro. Sono in gran parte cianobatteri e molte specie di eucarioti. Assieme producono oltre il 45% della materia organica che alimenta gli animali dell’oceano dallo zooplancton fino ai più grandi mammiferi e assorbono dall’atmosfera terrestre grossomodo cinquanta gigatonnellate di anidride carbonica tutti gli anni.” racconta Chris Bowler del Département de Biologie, École Normale Supérieure, CNRS,Paris, France un biologo marino che collabora con la Fondazione Tara Ocean che da anni monitora lo stato di salute degli oceani.

“A livello globale, il cambiamento climatico di origine antropica sta minacciando il fitoplancton. La resilienza del macrosistema oceano è influenzata da molteplici fattori in particolare dalla temperatura sulla sua superficie. Se l’attuale ritmo delle emissioni di gas serra continuerà, molto presto nelle aree tropicali si raggiungerà il punto di non ritorno del ricambio periodico del fitoplancton e la concreta possibilità che inizi il suo declino” sono le previsioni di Zhan Ban del College of Environmental Science and Engineering, Nankai University, Tianjin, China.

“Gli stress ambientali potrebbero diventare così gravi che una parte degli ecosistemi del pianeta non sarebbero in grado di mantenere il loro stato attuale di equilibrio, portando a cambiamenti improvvisi e/o irreversibili. Questi momenti vengono definiti punti critici o di non ritorno del sistema Terra” commenta Tim Lenton del Global Systems Institute, Università of Exeter, UK. “Attualmente sono cinque le situazioni ambientali a rischio: le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, alcune barriere coralline, la circolazione del vortice subpolare del Nord Atlantico e le regioni del permafrost della Siberia”. Lenton con il supporto di oltre 200 ricercatori provenienti da oltre 90 organizzazioni di 26 paesi diversi ha prodotto un Report sul tema che è stato presentato alla recente COP28 del dicembre 2023.

Raquel Peixoto del Red Sea Research Center, University King Abdullah, Thuwal, Saudi Arabia concorda con questo scenario. I risultati delle sue ricerche indicano che il cambiamento climatico in atto sommato agli effetti dell’inquinamento globale di atmosfera e acque stanno minacciando il microbioma di molti degli ecosistemi planetari, i quali rispondono in modo patologico a questi eventi. E’ la premessa ad un punto di non ritorno?