05 Ago Microbi e Nuove Opportunità
Sono ubiquitari tra terra, mare, atmosfera, dentro animali e piante e sono la chiave di volta di molti ecosistemi del pianeta.
La ricerca microbiologica è al lavoro per sfruttare le loro potenzialità fuori dal comune. Sono in atto o in via di programmazione interventi su alcune pratiche agricole che mettono al centro la riprogrammazione delle funzioni di singoli ceppi di microbi o di interi microbiomi che diventeranno così i protagonisti dei futuri cambiamenti.
Nell’aprile del 2023 Jennifer A. Doudna premio Nobel per la chimica nel 2020, in collaborazione con Jill Banfield ha reso noto l’avvio operativo dell’Audacious Project una iniziativa imprenditoriale progettata per ingegnerizzare ceppi di batteri con un modello evoluto dell’editing genetico Crispr-Cas9. Il primo obbiettivo dichiarato è la riduzione della emissione in atmosfera di metano proveniente dagli allevamenti intensivi. In questi ambienti microbi specializzati presenti nel suolo, negli scarti di lavorazione e nell’apparato digestivo degli animali, producono metano e ossidi di azoto in quantità tali che contribuiscono in modo significativo all’aumento dell’effetto serra.
“Ogni anno vengono immesse nell’atmosfera circa 600 milioni di tonnellate di metano. Di queste il 60% proviene da attività umane e circa la metà dall’agricoltura. Negli allevamenti intensivi di bestiame viene prodotto dai processi digestivi dei rumini e dalle pratiche colturali connesse. Il metano è un potente gas serra che contribuisce all’incremento delle temperature globali del pianeta. Per controllare il loro tasso di aumento, entro il 2030 bisogna porre un limite del 30% alle emissioni di questo gas” È una sintesi dell’incipit di un documento pubblicato dalla FAO, preliminare ad un workshop realizzato sul tema nell’ottobre del 2022.
L’iniziativa di Doudna e di Banfield è notevole sul piano scientifico, perché l’intervento di editing che è stato previsto sul microbioma dei ruminanti è un passo in avanti rispetto a quello introdotto dalla stessa Doudna alcuni anni fa. Il problema di fondo che complica gli interventi di editing in un ambiente complesso come quello del microbioma del rumine dei bovini, è la necessità di isolare i batteri interessati al cambiamento. “Abbiamo dimostrato che i singoli organismi all’interno delle comunità microbiche possono essere identificati con certezza per potere realizzare l’editing del genoma specifico in quel sito. I nostri risultati consentono la manipolazione delle singole specie batteriche senza richiedere il loro isolamento dall’ambiente o l’ingegneria preventiva” è il commento collettivo delle due biologhe coautrici della corrispondente ricerca clinica.
La concimazione azotata è alla base delle alte rese produttive delle colture agricole, mais, grano e riso in prima fila per la quantità di ettari di terreno che utilizzano. Ma allo stesso tempo l’azoto è uno dei principali inquinanti di questa filiera produttiva per gli effetti che produce sull’ambiente. “Quello che effettivamente raggiunge le radici delle piante è solo il 34% del totale e il rimanente 66% viene disperso nel terreno, nelle falde acquifere o viene ridotto a ossido nitroso, un gas serra trecento volte più inquinante dell’anidride carbonica, un fenomeno spesso ignorato dai ricercatori” ricorda Kayan Guo del College of Life Sciences, Shanghai Normal University in China “Si creano inoltre seri problemi con l’acidificazione delle acque, il rilascio di ioni metallici nel terreno e la possibile compromissione dello strato di ozono”.
Una palese contraddizione poiché viviamo dentro un’atmosfera che di azoto ne contiene in media il 78%. Solo grazie ad un costoso processo industriale può diventare disponibile per le piante. Retaggio del nostro passato industriale fatto più di hardware che di software, un modello produttivo inquinante in tutte le sue fasi. I microbi, queste fabbriche in miniatura diffuse in tutti gli ambienti del pianeta a quanto pare possono risolvere la questione alla radice in modalità ‘smart’. Un interessante lavoro di ricerca rivendica “L’identificazione, lo sviluppo e la messa in opera del primo prodotto microbico realizzato utilizzando gli strumenti della genetica molecolare che è in grado di fertilizzare le coltivazioni di mais, riducendo l’uso dei tradizionali concimi di sintesi”.
“Siamo riusciti ad isolare dal suolo la Klebsiella variicola 137-1036 un batterio che colonizza le radici del mais ed è in grado di fissare l’azoto atmosferico e trasferirlo alla pianta” commenta Amy Wen della Pivot Bio, Berkeley, California, l’azienda che ha brevettato questa innovazione. “Le valutazioni sulla capacità di fornire azoto alle coltivazioni di mais sul campo sia in termini di quantità di produzione per ettaro sia della capacità di garantire adeguate condizioni di sicurezza per tutti gli operatori interessati di questa proposta innovativa, hanno permesso di ottenere la necessaria certificazione USDA”.
Secondo la rivista Nature Biotechnology, nel 2022 l’uso di questo modello innovativo di concimazione azotata con batteri specializzati ha interessato grosso modo un milione di ettari coltivati a mais nel corn belt americano, evitando l’immissione in atmosfera di più di centomila tonnellate di anidride carbonica. Si tratta ancora di un intervento campione poiché solo negli Stati Uniti sono trenta i milioni di ettari coltivati a mais, senza menzionare quelli di Cina e India i due maggiori produttori globali a cui bisogna sommare le coltivazioni di grano e riso. Un inizio che dispone di solide premesse scientifiche.
Trichoderma è un fungo che comprende un grande numero di specie, distribuite in quasi tutte le aree geografiche sia in ambienti naturali che antropogenici. “Per le sue performance realizzate su diverse colture è uno dei migliori candidati per potere avviare una agricoltura sostenibile. Nelle piante che vengono trattate è in grado di sviluppare percorsi metabolici alternativi che le mette in condizione di resistere efficacemente ai diversi stress abiotici e biotici tipici di un gran numero di coltivazioni, modulando alternativamente la sua capacità di difesa o crescita” commenta Ilaria Di Lelio del Department of Agricultural Sciences, University Federico II, Napoli.
Una sperimentazione sul campo realizzata in una azienda agraria di Tarquinia (VT) ha dato risultati interessanti per quanto riguarda la difesa delle piante di pomodoro per usi industriali contro gli attacchi di Phytium, un fungo particolarmente aggressivo che produce necrosi mortali a livello del colletto e delle radici delle piante. I pomodori trattati con Trichoderma hanno ridotto in maniera significativa la loro mortalità media rispetto a quelli non trattati, una differenza attribuita allo stimolo ormonale benefico esercitato da questo fungo sul metabolismo della pianta. Il rendiconto economico di fine raccolto indica un aumento netto di ricavi tra i 450 e i 650 euro per ettaro delle piante trattate rispetto alle altre tal quali.
Il duro confronto fra il microbioma della pianta di pomodoro e quello di un suo parassita, la Spodoptera littoralis, è al centro della ricerca sul campo realizzata da Di Lello. Anche in questo caso è coinvolto il Trichoderma che sviluppa un ruolo di supporto del microbiota delle radici del pomodoro. Sorprendentemente questa inedita collaborazione fra microbi pur di specie diverse, è in grado di condizionare la crescita, lo sviluppo e la sopravvivenza del parassita Spodoptera intervenendo sul microbiota dell’intestino dei suoi stadi larvali che viene reso inoffensivo impedendo lo sviluppo dell’insetto adulto. Un inedito ma efficace modello di lotta biologica ai parassiti.
“Trichoderma può ritagliarsi in un prossimo futuro un ruolo importante in una agricoltura che vuole procedere verso una economia verde in grado di ridurre gli impatti ambientali delle attività umane. Futuri sviluppi nelle biotecnologie permetteranno utilizzi più sicuri e performanti di questo fungo nei termini di una incrementata resistenza ai diversi patogeni ambientali e verso gli stress di origine abiotica” è il commento di Sheridan Woo del Department of Pharmacy, University Federico II a Napoli primo firmatario di una rassegna sul Trichoderma. “I nuovi sviluppi potrebbero interessare anche la possibilità di coltivare terre marginali o il miglioramento della resistenza delle piante ai cambiamenti climatici e alla siccità”.