Nuovi Geni

Nuovi Geni

Provengono dalle regioni non codificanti del nostro Dna e aggiornano periodicamente le funzionalità di alcuni processi biologici del corpo umano.


Il Dna è una strana molecola. È composta da tre miliardi di nucleotidi, ma solo il 2% codifica per le proteine, le molecole alla base della vita. Nessuno dei tanti biologi che ha partecipato alla decodifica di questa lunga molecola avrebbe ipotizzato un risultato del genere, difficile anche solo da immaginare. Due percento contro novantotto è un inutile spreco di energia, sarebbe questa l’opinione professionale di un architetto strutturale.

In realtà non è proprio così. La rimanente frazione di Dna non codificante assolve a molte altre funzioni come la regolazione dell’espressione genetica con i fattori di trascrizione, ci sono geni non codificanti, telomeri e altre regioni con ripetizioni plurime di lunghe serie di nucleotidi con funzioni ancora poco chiare. Ma come spesso e per fortuna succede non tutto è come appare perché è stata scoperta una ulteriore funzione di questo strano Dna. In queste regioni ‘periferiche’ del genoma sono annidate delle sequenze genetiche ‘dormienti’ ma che attraverso alcuni intricati percorsi cellulari possono dare vita a nuovi geni.

Un gruppo di ricercatori di alcune Università cinesi ha scoperto che nel corso della nostra storia evolutiva si sono attivati 74 nuovi geni partendo da queste regioni di Dna non codificante, 29 dei quali condivisi con gli scimpanzè. Le loro funzioni interessano alcuni percorsi cognitivi del cervello e i testicoli. Grazie a questa ricerca ora sappiamo che il grande ‘magazzino’ composto da sequenze genetiche non direttamente utilizzate per la codifica delle proteine a certe condizioni possono essere attivate e rese disponibili. È una ‘riserva genetica’ che é stata spesso utilizzata nel corso delle tante vicende evolutive che hanno coinvolto per migliaia di anni animali e vegetali, in questo caso degli esseri umani.

François Jacob premio Nobel per la Medicina nel 1965 aveva anticipato questa possibilità a quel tempo del tutto ipotetica e definita maliziosamente da qualche suo collega troppo fantasiosa. In un suo articolo pubblicato nel 1977 e passato alla storia della biologia, aveva paragonato l’evoluzione delle specie ad un lavoro di bricolage poiché vengono utilizzati i materiali disponibili in un grande magazzino, non inventa nulla semplicemente li assembla fra loro in modi diversi. La scelta di quali materiali utilizzare è determinata dai problemi che quella specie deve affrontare in un particolare momento della sua storia evolutiva. Non c’è nulla di preordinato per un futuro che è impossibile da prevedere. Tutto è avvenuto nella contingenza di quei momenti storici caratterizzati per centinaia di migliaia di anni da una grande variabilità climatica che ha percorso tutto il Paleolitico.

Il fenomeno della comparsa di nuovi geni non è nuovo. Di solito avviene per duplicazione di uno esistente, per trasferimento laterale tra specie diverse oppure si tratta della acquisizione di nuove funzioni da parte di vecchi geni. Nel corso degli ultimi anni sono stati fatti sostanziali progressi nella comprensione del fenomeno e dei suoi effetti sulle specie interessate. “L’albero della vita è composto da migliaia di specie e la loro composizione genetica è quanto di più diverso si possa immaginare. La comparsa di nuovi geni è un fenomeno comune e apporta indispensabili novità in alcuni fondamentali processi biologici come la riproduzione, le funzioni cerebrali, la risposta alle sfide dell’ambiente che cambia, aggiornamenti che noi biologi abbiamo definito evoluzione del fenotipo” racconta Sidi Chen del Department of Biology, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge.

Per definire il tipo di relazione che lega questi geni ad alcuni specifici tratti umani in particolare allo sviluppo del cervello. i ricercatori hanno utilizzato uno dei nuovi geni scoperti che esprime una proteina composta da 107 aminoacidi tipica dello sviluppo embrionale del cervello umano. Utilizzato su cellule staminali neurali hanno osservato un deciso aumento della attività dell’Rna messaggero corrispondente al gene stesso, un effetto che successivamente è stato verificato nei topi transgenici nei quali ha prodotto lo sviluppo di cervelli più grandi. La scoperta di questi nuovi geni ha chiarito che il Dna è una macromolecola organica flessibile in grado di indirizzare efficacemente lo sviluppo degli esseri viventi all’interno di una vasta gamma di situazioni ambientali.

In modo speculare da alcuni anni la ricerca antropologica ha portato alla luce le prove materiali che un rilevante cambiamento del corredo genetico è iniziato tra i Sapiens grossomodo centomila anni fa. Si parla della acquisizione di funzioni cognitive più sofisticate, dello sviluppo del pensiero simbolico e probabilmente delle prime forme di protolinguaggio. Recenti ritrovamenti in due distinti insediamenti del tardo Pleistocene dell’Africa sub-sahariana a Blombos e a Diepkloof, hanno portato alla luce incisioni realizzate su frammenti di ocra e su gusci di struzzo risalenti a quella data che sono stati interpretati dai ricercatori come i primi segnali di comportamenti cognitivi e simbolici ancora primitivi, ma importanti per il loro significato che hanno assunto nella storia dei Sapiens.

Una evoluzione che è stata studiata in grande dettaglio dai ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, Germania. Hanno analizzato 20 crani fossili di Sapiens datati da 315.000 a 10.000 anni fa che sono stati messi a confronto fra loro e con 89 crani di umani contemporanei. Reperti provenienti da Jebel Irhoud in Marocco, da Qafzeh e Skul in Israele e da Combe la Capelle in Francia. La ricerca ha messo in evidenza che si è verificata una progressiva riorganizzazione strutturale del cervello di questi Sapiens. “Dati genetici supportati dall’analisi di antichi Dna suggeriscono che si è verificata una selezione positiva di un gruppo di geni importanti per lo sviluppo del sistema nervoso, di alcune funzioni del cervello e comportamentali” commenta Simon Neubauer primo firmatario della ricerca “Alcuni di questi geni sono stati selezionati in momenti storici differenti rispetto all’origine della nostra specie datata a circa 315.000 anni fa con i reperti di Jebel Irhoud. Nei Sapiens i cambiamenti  significativi sono avvenuti più tardi in un periodo databile fra i 70.000 e i 30.000 anni fa”.

Questo aggiornamento genetico ha interessato zone specifiche del cervello come il lobo parietale e il cervelletto. Il primo gestisce l’orientamento, l’attenzione e la percezione spaziale dell’individuo, la costruzione e l’uso di strumenti. Il secondo coordina i movimenti nell’ambiente, la memoria, il pensiero simbolico, il linguaggio e i rapporti sociali all’interno della tribù.   

I risultati dell’analisi dello studio del Max Planck Institute hanno chiarito i percorsi di questo passaggio epocale nella storia dei Sapiens. “E’ un avvenimento che possiamo definire una rivoluzione ontogenetica” dice Giorgio Manzi del Dipartimento di Biologia Ambientale, Università La Sapienza, Roma “Perché tutto cambia nella loro storia, proprio con la comparsa di questa diversa architettura del cervello che si è riorganizzato sotto la spinta di un gruppo di novità sul piano genetico, un evento che ha fatto la differenza in termini cognitivi e comportamentali. Davvero in precedenza non si era mai visto nulla di simile. Gli eredi di questa rivoluzione sono i nostri antenati che millenni più tardi si renderanno protagonisti di una evoluzione non solo biologica, ma anche e soprattutto culturale con il passaggio epocale alla produzione del cibo con l’invenzione dell’agricoltura e a tutte le innovazioni che arriveranno con il Neolitico”.