18 Feb Il Dramma dell’Obesità Infantile
Nel nuovo secolo è diventata una inarrestabile pandemia globale.
I dati di questo sorprendente fenomeno sono disponibili in decine di pubblicazioni scientifiche. Per l’Italia la diffusione media del sovrappeso e dell’obesità nelle classi di età tra cinque e i diciannove anni è del 30% con tutte le regioni del centro sud al di sopra di questa media e la Campania che raggiunge il 45%. Dati che ci collocano tra gli ultimi posti in Europa e che crescono costantemente nel corso del tempo, una media dell’8% nei primi sedici anni del nuovo secolo. Molti sono i progetti messi in atto in Europa e in Italia per contrastare il fenomeno, ma gli auspicati effetti positivi sulla sua riduzione ancora latitano.
Sono conclusioni che non lasciano molti spiragli sul futuro dei ragazzi e delle ragazze coinvolti in questa patologia che una volta accertata è in gran parte refrattaria ai trattamenti medici. Gli attuali programmi terapeutici di intervento ottengono una riduzione non sostanziale di peso che in breve tempo verrà riacquistato al termine del periodo di trattamento. Alla luce delle attuali esperienze in campo internazionale l’unica possibilità per contenere e ridurre gli effetti di questo fenomeno è la prevenzione giocata attorno ad un radicale ripensamento degli stili di vita dei pazienti e delle loro famiglie spesso coinvolte nelle stesse problematiche.
Alcuni ricercatori imputano a imprecisate cause genetiche la sua crescente diffusione. Più concretamente l’origine del fenomeno è da attribuire ai profondi cambiamenti di alcuni parametri ambientali in particolare della evoluzione del modello alimentare prevalente. La progressiva perdita del significato del cibo promossa dall’industria alimentare e dalla diffusione di una cultura non sempre all’altezza nel trattare il fenomeno così complesso dell’alimentazione e dei suoi riflessi sulla salute umana. Fenomeni amplificati dalla perdita da parte delle ultime generazioni di ogni residuo legame con le eccellenti tradizioni culinarie italiane.
Ultimo ma non per importanza gioca un ruolo il paradossale sdoganamento mediatico dell’obesità e del sovrappeso vissuti come condizione ‘normale’, un fatto di libertà o addirittura da rivendicare sui social come una nuova forma di identità personale. Una evoluzione quest’ultima non affrontata con la necessaria decisione critica dai media in nome di un malinteso senso del politicamente corretto. Tutti hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma non fino al punto da fare circolare nei media informazioni e prese di posizione sull’obesità smentite da tutte le più recenti ricerche scientifiche, le quali hanno dimostrato che compromette gravemente la salute umana in particolare nei primi anni di vita con un corpo ancora nel pieno dello sviluppo fisico e metabolico.
In tema di effetti dell’obesità infantile la realtà è decisamente preoccupante e gli addetti ai lavori, medici e ricercatori, dipingono un quadro a tinte fosche degli effetti che ha sulla salute di questi piccoli pazienti. Alexander K. C. Leung del Department of Pediatric, University of Calgary, Canada in merito agli effetti dell’obesità negli anni dello sviluppo è drammaticamente tranchant “I ragazzi obesi sono a rischio di un eccesso di grassi in circolo nel sangue, di ipertensione, di diabete di tipo 2 e di malattie cardiovascolari, di fegato grasso, apneee notturne, disturbi alla personalità nei rapporti con i pari, ridotta qualità della loro vita e la prospettiva di una lunga medicalizzazione che li accompagnerà per tutta la vita adulta”. Sono patologie che fino a una generazione fa iniziavano a manifestarsi negli ultracinquantenni.
Gli stili di vita alimentari nelle ultime generazioni hanno subito una profonda trasformazione e sono transitati da modelli legati alle singole tradizioni locali a quello che i ricercatori concordemente definiscono una dieta occidentale praticata nei paesi sviluppati che a macchia d’olio si sta diffondendo in altri in via di sviluppo. Un modello di alimentazione che prevede un consumo quotidiano di glucosio che va molto oltre i 200 grammi poiché è contenuto in molti alimenti di consumo quotidiano e non solo nelle bevande zuccherate e nei cibi dolci. Lo troviamo anche nella pasta, riso, pane, crackers, farine 00 perché è il risultato finale della digestione dell’amido che è il loro principale componente.
Un modello alimentare che produce un insieme di effetti negativi sulla salute umana in particolare un elevato effetto di ricompensa nei suoi abituali consumatori che induce ad un eccesso di consumo quotidiano di cibi. Una questione analizzata in dettaglio da uno studio clinico realizzato da Cara Ebbeling con un gruppo di ricerca della Harvard Medical School di Boston. Hanno posto la loro attenzione sui nuclei accumbens particolari aree cerebrali collocate alla base del cervello umano che sono preposte alla ricompensa. “Quando questo modello alimentare ricco di glucosio diventa una pratica quotidiana questi nuclei sono perennemente attivati e diventa possibile che si crei una forma di dipendenza dati gli elevati livelli di ricompensa che producono questi cibi”.
Una ipotesi che ha ricevuto una sorprendente conferma da una ricerca realizzata da Kevin Hall del National Institute of Diabetes and Digestive Diseases di Bethesda in USA. Due distinti gruppi di individui sono stati posti di fronte all’alternativa di consumare cibi ultraprocessati ricchi di zuccheri e carboidrati raffinati oppure a loro scelta una dieta più tradizionale con una maggiore quantità di alimenti vegetali, frutta fresca e secca. Entrambe le diete sono state gradite dai partecipanti, ma la sorpresa che ha spiazzato gli stessi ricercatori è stata scoprire che quella con cibi ultraprocessati ha prodotto in modo spontaneo in tutti i partecipanti un consumo medio quotidiano di cinquecento calorie in più rispetto a quella tradizionale. Si è probabilmente verificato un forte effetto ricompensa non previsto dai protocolli della ricerca. “In conclusione, questi risultati suggeriscono in modo inequivocabile che la eliminazione dalle diete dei cibi ultraprocessati diminuisce il consumo di zuccheri e di carboidrati raffinati con la riduzione della quantità di calorie quotidiane assunte e la possibilità quindi di controllare progressivamente l’obesità e il sovrappeso” è il commento finale dello stesso Hall.
L’intervento terapeutico per fare rientrare i piccoli pazienti obesi in una condizione di normalità metabolica e di peso è indirizzato ad un riequilibrio del loro modello alimentare e deve comprendere cibi che non producano il fenomeno della ricompensa diffuso anche nelle altre classi di età visto che grossomodo il 50% della popolazione italiana è obesa o in sovrappeso. Secondo le indicazioni degli addetti ai lavori in sede terapeutica è necessaria la presenza attiva dei genitori in quanto parte in causa del problema. Le difficoltà sono comunque molte e di varia origine anche perché i modelli di alimentazione che si sono consolidati negli ultimi decenni fanno ormai parte di una cultura presente nelle società contemporanee diffusa attraverso i media e i social e sostenuta attivamente dall’industria alimentare che ha grandi interessi in gioco.