Obesità e Semaglutide

Obesità e Semaglutide

È il principio attivo del farmaco Wegovy studiato in origine per la cura del diabete ma impiegato anche per il trattamento dell’obesità. Un successo di mercato oltre ogni aspettativa.


Secondo un editoriale della rivista Science questo evento è la più importante novità del 2023. Un farmaco che ha una lunga storia alle spalle iniziata nel 2005 con la sua approvazione per il trattamento del diabete 2 e delle malattie cardiovascolari, nel 2014 per il controllo degli effetti degli eccessi di peso sul corpo e nel 2022 per il trattamento dell’obesità. Con quest’ultima certificazione da farmaco di nicchia le sue vendite si sono impennate ed è diventato una star mediatica globale.

Il suo principio attivo è un ormone che riduce la glicemia stimolando la secrezione di insulina, rallenta il transito del cibo nel tratto digerente, aumenta il senso di sazietà e riduce la quantità delle calorie assunte. Deve essere assunto tutte le settimane con siringhe precaricate ed ha un costo non irrilevante. Gli studi clinici realizzati sull’uso della semaglutide per il trattamento dell’obesità hanno dato risultati interessanti.

Nel corso dei due anni di durata di uno degli studi pilota si è verificata una riduzione del peso fino al 15% di quello iniziale e un deciso miglioramento di alcuni parametri metabolici chiave come il colesterolo Ldl, la glicemia a digiuno, i trigliceridi, la proteina C reattiva che riducono il rischio cardiovascolare e per il diabete2. Risultati positivi accompagnati da effetti secondari di una certa rilevanza come nausea, diarrea, vomito, dolori addominali e dispepsia. Eventi negativi puntualmente segnalati dai pazienti che usano il farmaco accompagnati da una media del 15% di abbandoni del trattamento che comporta il progressivo riacquisto del peso perduto nei mesi precedenti all’interruzione.

La semaglutide segna una svolta concettuale sul trattamento dell’obesità. Viene considerata una malattia per la quale è disponibile per la prima volta un adeguato trattamento farmacologico. Una cambio di paradigma che si lascia alle spalle qualche decennio di dibattiti e di studi clinici sull’approccio analitico più opportuno da riservare a questo problema così diffuso in tutte le società occidentali e in quelle di recente sviluppo.

Una soluzione che lascia insondato il grande buco nero sulle cause di questo fenomeno così pervasivo per i suoi pesanti effetti sulla salute umana, in primo piano le malattie cardiovascolari. Oltre l’effimero clamore mediatico e gli interessi dell’industria che lo produce, la danese Novo Nordisk che ha moltiplicato la sua capitalizzazione di borsa, rimangono molte domande a cui bisognerebbe sapere rispondere in maniera adeguata come ricorda la stessa rivista Science.

L’obesità non è una malattia ma è la manifestazione di uno squilibrio alimentare di lunga durata nella vita degli individui che trascina con sé diffuse carenze sui fondamenti nutritivi di base: minerali, vitamine, fibre alimentari, aminoacidi essenziali. Un punto di vista olistico, oltre la tipica semplificazione del riduzionismo. È una ipotesi su cui stanno lavorando da alcuni anni gruppi di ricercatori alcuni appartenenti alla Harvard T. H. Chan School of Public Health di Boston i quali hanno messo a punto un originale schema interpretativo del modello alimentare praticato nei paesi occidentali, il Carbohydrate Insulin Model che si interroga sugli effetti che induce sul metabolismo umano obesità inclusa.

Un modello in cui oltre il 50% delle calorie assunte quotidianamente proviene da carboidrati semplici come gli zuccheri e l’amido che assimilato si trasforma in glucosio. Una composizione che produce alti livelli di questo zucchero, di insulina in circolo nel sangue e un continuo accumulo di grasso a livello viscerale per effetto della lipogenesi. Un modello alimentare ad alto indice glicemico che devia le risorse di nutrienti acquisite con la dieta verso l’accumulo e non indirizzate a soddisfare i bisogni di energia del corpo e che spinge ad una continua ricerca di cibo da assumere oltre ai suoi bisogni fisiologici. Il libro Always Hungry scritto da David Ludwig sempre della Harvard T. H. Chan School illustra bene il significato intrinseco di questo modello alimentare così diffuso.

Un approccio analitico forse un po’ ‘tranchant’ ma che rende conto, in sintesi dell’eziologia della obesità e dell’atteggiamento compulsivo verso il cibo che lo caratterizza molto vicino alla dipendenza. Un effetto che studi clinici dedicati a questo tema hanno imputato anche alla presenza quotidiana di alti livelli di glucosio che interagiscono con il nucleus accumbens, una specifica area cerebrale specializzata nella gestione dei livelli della ricompensa psicologica.

Il Carbohydrate Model è stato testato da una recente ricerca di lunga durata gestita dagli stessi ricercatori della Harvard Chan School con 136.000 partecipanti uomini e donne. Come previsto tutto è ruotato attorno all’indice glicemico dei cibi che componevano la dieta. “Tra i partecipanti della nostra ricerca l’aumento di questo indicatore è sempre stato associato con un incremento del peso del corpo” dice Yi Wan della School primo firmatario dello studio “Rispetto a questo obbiettivo la qualità dei carboidrati assunti con la dieta si è rivelata fondamentale. Da un lato è stata attuata la limitazione del consumo di glucosio contenuto nelle bevande zuccherate, dei cereali raffinati e dell’amido che sono la materia prima di molti cibi di consumo quotidiano come i dolci, il pane, la pasta e il riso. In sostituzione è stata favorita l’assunzione di cereali integrali, della frutta fresca e secca e di vegetali a basso contenuto di amido, una scelta che ha favorito il controllo e la riduzione del peso”.

Secondo le indicazioni dello studio clinico questo modello alimentare ad alto indice glicemico si caratterizza per una assunzione quotidiana di oltre duecento grammi di glucosio tra quella diretta e indiretta proveniente dalla digestione dell’amido, una quantità che ‘segna’ in modo negativo il metabolismo nutritivo umano ed è alla base dell’interpretazione proposta da quei ricercatori.

Una trattazione che trascina con sé numerosi corollari non secondari in merito ai nutrienti. Ridurre le quantità di carboidrati semplici e di amido digeribile significa aumentare le quantità di minerali, vitamine, aminoacidi essenziali, fibre alimentari. A cui si sommano due importanti effetti correlati: la riduzione dei valori medi del glucosio e dell’insulina in circolo nel sangue e l’amento dell’effetto sazietà prodotto dal diverso paniere di cibi in particolare dalla crescita dei carboidrati complessi in sostituzione di quelli semplici, la premessa necessaria e sufficiente per ridurre l’apporto calorico quotidiano.

Un approccio metodologico che non riscuote consensi unanimi tra i ricercatori del settore, ma ha il pregio di addentrarsi nei percorsi metabolici che il cibo mette in moto nel corpo umano fornendo un quadro analitico oltre le tradizionali interpretazioni. Indirizza con suggerimenti concreti verso la scelta di una alimentazione che riduce il rischio delle più diffuse malattie, in prima linea le cardiovascolari e il diabete2. Un modello di alimentazione che produce gli stessi effetti della semaglutide, ma in un quadro nutrizionale e metabolico di una qualità che non ha alcuna possibilità di confronti…e in assenza di effetti secondari.