Svante Pääbo

Svante Pääbo

L’analisi genetica di frammenti di ossa di Neanderthal provenienti dai musei europei, ha aperto la strada della paleogenetica, la nuova disciplina scientifica che studia il DNA antico.


“Se volete scoprire come funziona la ricerca scientifica dovete leggere il libro di Pääbo” ha commentato alcuni anni fa il sociobiologo Edward O. Wilson. E’ ‘L’uomo di Neanderthal’ scritto dal ricercatore di origini svedesi sulla vicenda umana e scientifica che lo ha portato assieme ai suoi collaboratori ad aprire la strada di questa inedita disciplina scientifica. Concetti e metodologie importati dalla genetica, sono stati utilizzati per la prima volta negli studi paleontologici. Una disciplina, la paleogenetica, che fin da subito ha dato un forte impulso allo studio dei reperti fossili degli scavi allora in atto ed ha valorizzato quelli presenti nei vari musei del mondo, in gran parte inutilizzati e li ha trasformati in risorse preziose. Il libro é la ricostruzione di come il rigore delle procedure di ricerca in un ‘work in progress’, possano diventare un manuale di istruzione per arrivare a produrre risultati scientifici di rilievo.

In una tarda serata del 1996 a Monaco di Baviera mentre era a casa, Pääbo ha ricevuto una telefonata da un suo collaboratore che conteneva un semplice messaggio “Non é umano”. Non occorrevano altre parole per far velocemente tornare il ricercatore svedese al suo lavoro. Dopo anni di risultati deludenti, finalmente qualcosa di positivo era successo. In quella serata quei locali di solito adibiti alla ricerca genetica erano stranamente affollati. “Con i miei collaboratori non stavamo più nella pelle mentre mi mostravano la lunga stringa stampata composta da decine di A,C,G e T che stava uscendo da un analizzatore di sequenze genomiche. Né loro né io avevamo mai visto prima nulla del genere” commenta Pääbo. “Stavamo osservando una sequenza di DNA mitocondriale estratta da un osso di Neanderthal, che si trasmette da madre a figli e la cosa entusiasmante é che conteneva variazioni mai osservate in nessuna delle centinaia di analisi che avevamo realizzato tempo prima nel nostro laboratorio. Sapevamo che, se quelle sequenze genetiche appartenevano veramente al DNA di un Neanderthal, si spalancavano di fronte a noi e agli altri ricercatori, enormi possibilità di ulteriori scoperte”.

E’ stato un facile profeta. La paleogenetica nata in embrione quella sera a Monaco, avrebbe aperto negli anni successivi molte strade negli studi dei nostri antenati, della genetica di animali estinti e di patogeni che causano malattie come la lebbra, la tubercolosi. Ma in quel momento a Pääbo mancava ancora un pezzo del puzzle e ne era consapevole. Quel Dna mitocondriale raccontava solo una parte della storia, quella dal punto di vista materno e della sua eredità genetica, ma era comunque un passo in avanti cruciale. Consapevoli della forza dei loro risultati con una decisione inedita e rara nel mondo della ricerca, li hanno fatti controllare da un laboratorio di genetica della Pennsylvania State University allora guidato da Mark Stoneking che li ha validati. Il loro studio pubblicato nel 1997 dalla rivista Cell, é stato giudicato dall’antropologo inglese Chris Stringer di una importanza pari a quelli dello sbarco sulla Luna per i viaggi spaziali.

Ma rimaneva in sospeso la questione di fondo: per raccontare l’intera storia del genoma dei Neanderthal bisognava recuperare il DNA del nucleo delle loro cellule dai resti disponibili nei vari musei. In termini di quantità di informazione tutta un’altra storia. Il DNA mitocondriale femminile é una stringa composta da circa sedicimila cinquecento nucleotidi, mentre quella del nucleo della cellula ne contiene più di tre miliardi. Con un intrigante corollario. “Questo genoma é rimescolato ad ogni generazione quando ogni cromosoma si scambia con quello del partner sessuale” dice Pääbo. “Questo interscambio concede  buone possibilità di rilevare anche eventuali incroci che sono avvenuti tra Neanderthal ed altre specie”. E conclude “All’epoca ero scettico nei confronti di questa possibilità, anche se c’era stata una loro convivenza con i Sapiens in vari territori dell’Europa e del Medio Oriente che complessivamente é durata più di cinquantamila anni”.

E i risultati sono arrivati. Sono stati confrontati cinque genomi di contemporanei di paesi diversi, con reperti fossili provenienti da tre Neanderthal. Non c’era alcuna possibilità di dubbio: c’era stata una loro ibridazione con i Sapiens e questo contributo, valutato in media del 3% del genoma, era chiaramente presente negli esseri umani moderni. “I Neanderthal non si erano completamente estinti, perché il loro DNA viveva tra noi contemporanei” commenta Pääbo. Non é stato riscontrato alcun interscambio genetico con nessuna delle attuali popolazioni africane perché tutto é accaduto dopo che consistenti gruppi di Sapiens erano migrati in direzione del Medio Oriente 120.000 anni fa dove sono state trovate tracce di loro stanziamenti nelle grotte di Qafzeh nell’attuale Galilea. La sorpresa, del tutto inaspettata, é che sono state trovate tracce di ibridazione dei Neanderthal con i cinesi e gli australiani.

Ma non si sono mai spinti in questi territori così lontani. Pääbo ha ipotizzato che il fenomeno possa essere spiegato solo ipotizzando che l’incrocio possa essere avvenuto in Medio Oriente l’unica zona al mondo nella quale sappiamo con certezza che Neanderthal e Sapiens hanno convissuto per un periodo compreso fra i centomila e i cinquantamila anni fa. Le successive migrazioni di Sapiens verso l’Europa e sui lunghi percorsi che portavano ad Est fino alla Cina e l’Australia hanno diffuso progressivamente questa ibridazione in tutto il pianeta. Sue tracce sono state trovate fino all’estremità meridionale del Sudamerica e nella stessa isola di Pasqua in mezzo all’Oceano Pacifico.

Nel maggio del 2010 la rivista Science ha pubblicato i risultati di questa lunga ricerca che Pääbo e il gruppo dei suoi collaboratori del progetto, ritenevano fosse un passo in avanti risolutivo nello studio dei nostri antenati ma non solo. “Speravamo che le tecniche di indagine sviluppate per arrivare a quel risultato e allegate alla ricerca, potessero essere utilizzate per recuperare interi genomi da molti resti non solo umani con la possibilità di produrre risultati importanti che andassero oltre lo stretto ambito della paleontologia” commenta Pääbo. Un auspicio che si é realizzato addirittura oltre le sue stesse aspettative. Con quella pubblicazione era ufficialmente nata la Paleogenetica e ben presto avrebbe dimostrato tutta la sua potenza interpretativa, anche in direzioni in quel momento non ipotizzabili. Molto presto.

L’imprevedibile é puntualmente accaduto grazie ad un frammento di dito mignolo che ha contribuito ad arricchire il numero dei nostri antenati. Proveniva dalla grotta di Denisova nei Monti Altai nella Siberia meridionale. L’analisi del suo DNA mitocondriale ha rivelato l’esistenza di uno sconosciuto progenitore vissuto nel medio Paleolitico in quei territori compresi tra la Russia e l’Asia. Per la prima volta in assoluto veniva descritta una nuova forma di essere umano estinto solo in base ai dati del DNA, in totale assenza di resti scheletrici. Una accelerazione delle nostre conoscenze avvenuta praticamente nell’arco di un anno.

Successivamente l’analisi del genoma nucleare di un molare ritrovato sempre nella stessa grotta, ha permesso di scoprire come quei nuovi antenati del genere Homo definiti Denisoviani, erano dei precursori imparentati con i Neanderthal e indirettamente anche con noi Sapiens. Il Nobel 2022 per la Medicina assegnato a Pääbo é stata la giusta conclusione di questa lunga stagione di traguardi raggiunti dalla genetica in collaborazione con la paleoantropologia. Tra i tanti, ne segnaliamo uno che ha ampliato di molti ordini di grandezza le possibilità di indagine delle tecniche messe a punto dal biologo svedese e dai suoi collaboratori.

In molti siti archeologici spesso non vengono ritrovati resti di scheletri umani, un limite alla ricerca. Benjamin Vernot del Max-Planck-Institute for Evolutionary Anthropology, Leipzig, Germany é andato oltre. “Su tre grotte datate da 200.000 a 50.000 anni fa, in mancanza di reperti ossei umani, abbiamo sviluppato metodi per l’analisi di antichi DNA nucleari utilizzando i sedimenti per portare alla luce eventi sconosciuti della storia dei Neanderthal. Questo lavoro ha dimostrato che é possibile realizzare dettagliate analisi genetiche in molti più siti del previsto, grazie alle abbondanti tracce di DNA nucleare che é possibile ricavare dagli ambienti stessi”. Un’altra rivoluzione…