Una Sorprendente Uguaglianza

Una Sorprendente Uguaglianza

Cacciatori delle foreste brasiliane, contadini boliviani, gli abitanti di Milano e quelli di Londra, corridori, sedentari per forza o per abitudine, tutti consumano la stessa quantità di energia quotidiana.


Herman Pontzer antropologo alla Duke University di Durham nel North Carolina da anni studia la tribù di cacciatori raccoglitori degli Hadza in Tanzania. Ha analizzato i vari aspetti del loro metabolismo e ha messo a confronto i loro consumi quotidiani di energia con quelli di un campione di individui residenti negli Stati Uniti e in Europa. E’ un ricercatore con anni di esperienza sul campo, ma quella sera seduto dentro la sua tenda era sorpreso dai numeri che leggeva in alcuni fogli sparsi sopra il suo minuscolo tavolo da lavoro.

“Gli Hadza sono un popolo con uno stile di vita tradizionale” ricorda Pontzer “Ma i dati che per mesi avevo raccolto per il mio studio ed erano davanti a me, raccontavano una storia che non avevo immaginato. Mi dicevano che gli uomini e le donne Hadza i quali sono molto più attivi fisicamente di un abitante di New York, consumano quotidianamente la stessa quantità di energia, ricalcolata sul peso del corpo e sull’età. Dovevo avere sbagliato qualcosa nei miei calcoli”. Poi continua “Ho ricontrollato accuratamente tutti i dati in mio possesso e le conclusioni erano sempre le stesse: gli Hadza hanno i miei stessi consumi quotidiani di energia e di ciascun abitante dei paesi sviluppati, un risultato che non mi sarei aspettato e metteva in dubbio molte mie precedenti convinzioni” I controlli successivi realizzati dai suoi collaboratori sulla tribù degli Shuar delle foreste dell’Amazzonia, sugli Tsimane di quelle boliviane e su novantotto popolazioni di paesi con differenti livelli di sviluppo economico, hanno confermato la validità dei suoi risultati.

Grosso modo i due terzi dell’energia totale che spendiamo quotidianamente é destinata al funzionamento di base del nostro corpo e la rimanente é utilizzata per le attività di relazione della nostra vita: la famiglia il lavoro, i figli, il tempo libero. A questi vanno aggiunti i costi del sistema immunitario e della riproduzione. Il totale dei consumi é il risultato della somma aritmetica dei singoli fabbisogni del corpo. Non ci sono possibili confronti fra il metabolismo energetico di individui con stili di vita diversi che abitano paesi con differenti livelli di sviluppo economico. Questa era la narrazione corrente che circolava in letteratura sui consumi di energia del corpo umano.

I risultati raggiunti dalle ricerche sul campo realizzate da Pontzer e dai suoi collaboratori, sono andati in tutt’altra direzione con un corollario anch’esso controintuitivo. “Il totale quotidiano di consumo di energia non può aumentare indefinitamente con una progressione lineare a seconda dei bisogni come veniva implicitamente ammesso dalla teoria della somma aritmetica e dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità” ricorda l’antropologo” C’é invece un tetto massimo di calorie quotidiane spendibili, che nelle normali condizioni di vita rimane stabile nel tempo e non viene superato se non per periodi limitati” e conclude “Sono risultati che suggeriscono l’esistenza di un rapporto più complesso del prevedibile fra l’ambiente, gli stili di vita e il nostro metabolismo energetico, il quale non é semplicemente il totale di una somma aritmetica”.

La destinazione delle risorse di energia disponibili  é subordinata alle particolari necessità del metabolismo del corpo in una situazione ambientale data e vengono distribuite secondo una scala di priorità che mette in primo piano la difesa delle sue funzioni di base ai fini della sopravvivenza: sistema immunitario, cervello, apparato cardiocircolatorio e respiratorio, la riproduzione. Nei bambini della tribù Shuar in Amazzonia, il loro sistema immunitario deve far fronte ad una elevata patogenicità ambientale e impiega oltre duecentocinquanta chilocalorie al giorno per tenerla sotto controllo. Un costo che aumenta la quantità di energia spesa per il loro metabolismo di base rispetto ad un pari età occidentale. “Nelle loro condizioni di elevata attività fisica e in presenza di questo importante costo immunitario, il vincolo massimo di energia spendibile conduce in alcuni casi alla riduzione di quella disponibile per la loro stessa crescita fisica anche in presenza di una buona disponibilità di cibo e questo può avvenire tra i 6 e i 7 anni, un periodo in cui il loro cervello ha bisogno di molta energia per completare il suo sviluppo fisico” spiega Samuel Urlacher antropologo presso la Baylor University di Waco in Texas.

La regola del vincolo di energia massima spendibile vale per tutti gli animali a sangue caldo. “Con i miei colleghi negli ultimi anni abbiamo passato molte ore a misurare l’energia spesa quotidianamente dagli scimpanzé, dai bonobo, dai gorilla, dai roditori, dai canguri e dai panda, sia in cattività negli zoo che nel loro ambiente naturale” commenta Pontzer “In tutti i casi abbiamo riscontrato che, all’interno di una ristretta finestra di tolleranza, l’energia spesa nelle due diverse situazioni ambientali non cambia. Evidentemente é la manifestazione di una antica e diffusa strategia evolutiva di ottimizzazione delle risorse che coinvolge anche noi esseri umani”. Un fenomeno che spiega gli esiti sostanzialmente negativi dei più importanti studi clinici realizzati sugli effetti che l’attività fisica ha sulla perdita di peso corporeo.

Il migliore per qualità, ancora ampiamente citato in letteratura, é stato realizzato nel 1992 da Klaas Westerterp direttore del Nutrition and Translational Research in Metabolism (NUTRIM), Maastricht University Medical Centre, Olanda. Ventitré volontari fra uomini e donne hanno partecipato per quaranta settimane ad un trial di preparazione alla mezza maratona senza alcuna esperienza precedente in materia. La quantità di calorie assunta con i pasti é rimasta stabile in tutto il periodo. All’inizio le sessioni di corsa erano di venti minuti quotidiani per quattro giorni a settimana, mentre al termine delle quaranta settimane le sessioni erano diventate di 60 minuti con una percorrenza settimanale di 25 miglia.

La riduzione del peso del corpo fra le donne é stata pressoché nulla, mentre fra gli uomini la media si é collocata attorno ai due chilogrammi. Il commento di Westerterp é istruttivo “In questo studio come in altri analoghi, abbiamo osservato che le donne tendono a mantenere costante il loro bilancio energetico. Valutando poco significativo il cambiamento che abbiamo osservato nel peso del corpo dei partecipanti uomini, é verosimile l’ipotesi che l’attività fisica non sia lo strumento adeguato per ridurlo , anche quando vengono spese molte calorie come nel nostro caso”.

In altri studi simili si sono verificate riduzioni di peso di varia entità, ma quasi tutte sono rientrate nel giro di pochi mesi o entro il primo anno, il fenomeno del regaining, temuto da tutti i ricercatori. Sul lungo periodo il massimo di energia spendibile é un limite vincolante. L’ipotesi più accreditata é che l’allocazione delle risorse disponibili per le varie funzioni del corpo potrebbe essere il risultato della nostra storia evolutiva con un tetto massimo da rispettare, se non per limitati periodi  di tempo. Un vincolo che può coinvolgere anche gli atleti professionisti.

David C. Nieman é professore incaricato di immunologia dell’attività fisica presso il Department of Biology, College of Arts and Sciences, at Appalachian State University, North Carolina, un nuovo settore della ricerca medica. “La valutazione clinica delle risposte immunitarie alle intense e prolungate sessioni di esercizio fisico sono oggetto di studio da anni” é il suo commento e continua “Le prove a nostra disposizione dimostrano che carichi di allenamento ripetuti e molto pesanti, la partecipazione a prolungate competizioni e gli associati stress psicofisiologici, provocano disfunzioni del sistema immunitario con l’aumento del rischio di infezioni generalizzate, in particolare del tratto respiratorio”. L’energia spesa per l’attività fisica viene sottratta a quella necessaria ad alimentare il sistema immunitario per rimanere all’interno del budget a disposizione del corpo di quegli atleti secondo l’ipotesi di Pontzer. Un allarme per i fautori della attività fisica a oltranza.

I suoi riconosciuti effetti positivi sulla salute e sull’aspettativa di vita, si manifestano se l’impegno settimanale rimane entro limiti di tempo ampiamente testati dalla ricerca medica. In particolare, nella terza età é importante l’aumento della massa muscolare che si verifica con l’esercizio costante della attività fisica poiché é un tessuto sano dal punto di vista metabolico e riduce il rischio dell’insulino-resistenza, l’anticamera del diabete2 e di possibili patologie cardiovascolari.