Vederci Chiaro

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Le sofisticate abilità visive degli occhi dei vertebrati sono il risultato della acquisizione di materiale genetico esogeno proveniente da un batterio avvenuta oltre cinquecento milioni di anni fa.


Si tratta dell’inserimento del gene RBP3 responsabile delle differenze funzionali che contraddistinguono gli occhi dei vertebrati da quelli degli invertebrati. La proteina che esprime fa da ‘navetta’ fra le cellule che hanno i fotorecettori sensibili alla luce e quelle con i pigmenti della retina. Una separazione cellulare e di funzioni che consente agli occhi dei vertebrati di vedere anche in condizioni di scarsità di luce, un aggiornamento che sembra sia avvenuto quando hanno iniziato a colonizzare habitat con bassa intensità di luce come le acque profonde degli oceani.

Sono le suggestive conclusioni di una ricerca realizzata da Matthew Daugherty del Department of Molecular Biology, University of California, San Diego, La Jolla, California. Un risultato reso possibile grazie allo sviluppo della velocità di sequenziamento del DNA che ha reso disponibili oltre 900 genomi di alta qualità di eucarioti e di batteri i quali sono stati utilizzati per ricostruire le loro storie genetiche in rapporto all’evoluzione della funzione visiva e hanno consentito di chiarire le basi di questa transizione chiave tra invertebrati e vertebrati che é avvenuta nella storia evolutiva del pianeta.

Daugherty ha chiarito in via definitiva il ruolo chiave di RBP3 nella funzione visiva. Sappiamo che le sue mutazioni sono la causa accertata di alcune malattie genetiche rare come la retinite pigmentosa e la distrofia della retina. “Abbiamo trovato la prova inequivocabile che a differenza di molti altri geni coinvolti  nella visione dei vertebrati, l’RBP3 é stato acquisito orizzontalmente dall’ambiente con grande probabilità da un batterio. E’ un evento che ha rappresentato un salto di qualità evolutivo perché ha reso disponibili in tempi brevi queste novità che hanno implementato le funzionalità dell’occhio” commenta Daugherty. E’ uno schema di acquisizione di nuovo materiale genetico che non contraddice la classica impostazione darwiniana. Una volta metabolizzato dall’organismo, il materiale genetico esogeno che ha veicolato queste nuove abilità è stato inserito nella linea germinale, diventando ereditabile per le future generazioni e non è rimasto un evento occasionale.

Darwin stesso nell’Origine delle Specie, aveva affrontato questa questione cruciale. E’ tale la sofisticazione funzionale degli occhi dei vertebrati nelle loro varie versioni che ipotizzava potesse in qualche modo sfidare l’impianto della sua teoria. “Supporre che l’occhio con tutti i suoi inimitabili meccanismi per aggiustare la focalizzazione su diverse distanze, per fare entrare differenti quantità di luce e per correggere l’aberrazione sferica e cromatica, si possa essere formato con selezione naturale sembra, lo confesso, assurdo al massimo grado..” Tuttavia Darwin é convinto del suo impianto teorico e conclude così il suo ragionamento. “Le difficoltà di credere che un occhio perfetto e complesso possa  essere il risultato della selezione naturale pur nella sua apparente complessità, non deve essere considerata una ipotesi così sovversiva”. Dubbi ampiamente giustificati dal fatto che a quel tempo erano ancora di là da venire gli strumenti concettuali della genetica, ma in particolare non si era conoscenza dell’imprevedibile e diffuso fenomeno di circolazione di materiale genetico nell’ambiente che coinvolge sia procarioti che eucarioti definito dai biologi trasferimento genico orizzontale.

Il premio Nobel del 1958 per la medicina Joshua Lederberg é stato fra i primi ricercatori a riconoscere e a indagare sulle particolari caratteristiche di questo passaggio in orizzontale di materiale genetico. Fino ad allora si ipotizzava che nella sua trasmissione fra generazioni la norma fosse la discendenza verticale sia nei procarioti che negli eucarioti. Grazie al suo lavoro pioneristico oggi sappiamo che i batteri e in generale tutti i microorganismi non sono isole biologiche e che i genomi di ogni essere vivente sono in realtà sistemi ‘aperti’ grazie a questa flessibilità della diffusione delle informazioni genetiche tra le tante ramificazioni dell’albero della vita. Concetti che hanno aperto scenari affascinanti per la ricerca biologica. Le prove del passaggio di materiale genetico dai procarioti agli eucarioti pluricellulari si sono moltiplicate negli anni. C’é ormai una letteratura consolidata che fa riferimento a fenomeni diffusi nel vivente la quale fornisce un quadro innovativo delle forme che può assumere lo sviluppo rispetto ad alcuni organi chiave di diversi organismi viventi.

L’origine per trasferimento genico di RBP3, ricorda da vicino una storia recente di virus e genomi cellulari. Solitamente sono i virus che entrano nelle cellule dei viventi per poter riprodurre il loro materiale genetico e replicarsi. Altre volte invece lo stesso virus viene sequestrato dalla cellula e il suo corredo genetico utilizzato dal suo ospite. “Con la nostra ricerca abbiamo individuato un passaggio cruciale di materiale genetico che é avvenuto milioni di anni fa tra un virus e un mammifero” dice Sha Mi del Genetics Institute, Cambridge, Massachusetts, USA “Si tratta della acquisizione di un gene il quale codifica per una proteina che abbiamo chiamato syncytina presente nei tessuti della placenta degli esseri umani con la funzione di aumentare lo scambio di nutrienti con il feto”. E’ stato un inserimento esogeno che ha avuto un impatto evolutivo significativo poiché ha giocato un ruolo decisivo nella comparsa nell’albero della vita milioni di anni fa, degli antenati degli attuali mammiferi placentati.

Evoluzione delle capacità visive dei vertebrati, un ruolo cruciale nella fisiologia della placenta e nella genesi di alcuni componenti del sistema immunitario innato degli esseri umani. Sono alcune delle tante funzioni trasferite geneticamente tra organismi spesso molto lontani tra loro nell’albero della vita. “Batteri, virus, archaea sono molto antichi e sono portatori di gran parte della diversità genetica e biochimica del pianeta. Gli eucarioti si sono evoluti più tardi in un mondo ormai dominato dai procarioti i quali inevitabilmente hanno condizionato la loro biologia sotto forma di simbionti attraverso la formazione dei microbiomi nelle piante e negli animali” commenta Filip Husnik della Division of Biological Sciences, University of Montana in Missula, Montana. “Ma contemporaneamente a queste interazioni, la ricchezza genetica dei procarioti é diventata una fonte pressoché inesauribile di trasferimenti orizzontali di geni negli eucarioti in particolare nel metabolismo nutritivo e nella loro capacità adattamento ad ambienti anche i più estremi alimentando così l’imprevedibile diversità del vivente”.